C'era una volta,
in epoca tarda -eneolitica,
un villaggio megalitico sul
monte Grottillone a Torraca,
con un approdo fortificato
sull'antica baia di Sapri (?)
INTRODUZIONE
Come
sa bene chi mi conosce, non sono uno strorico di
formazione accademica e scientifica, ma sono un appassionato di storia locale
e, sopratutto, un raccontastorie
che mette insieme i risultati delle ricerche ufficiali e le antiche memorie per
ÒcucireÓ un racconto, una narrazione che possa reggere e che non si discosti
dalla verit dei fatti accertati.
Pur
non avendo una reputazione scientifica da difendere, cerco di essere cauto e di
rispettare la cosiddetta verit storica dei fatti, quando questi siano stati
accertati in maniera incontrovertibile. Formulo ipotesi e supposizioni solo
quando vi discordanza di opinioni tra gli esperti o non si in presenza di alcune opinioni.
Fino
ad oggi, i destinatari di queste mie storie non scritte sono stati
i miei familiari e qualche amico che mi ha fatto piacere accompagnare in visita
al Castello e nei posti piuĠ significativi ed
interessanti nel territorio di Torraca.
Questa
volta ho deciso di affidare ad un opuscolo stampato,
non destinato alla vendita e illustrato da una serie di foto, la piuĠ recente narrazione che mi stata suggerita
dallĠavvenuta individuazione di un sito megalitico sul Monte Grottillone e sulle colline calcaree che sorgono ad est del
paese.
In
questo breve racconto – destinato al solito circolo di familiari ed amici – ho voluto sottolineare quelle che a mio
parere ne sono le ricadute sul piano della storia locale, oltre allĠopportunit
di far conoscere, a livello nazionale, Torraca ed il suo territorio a supporto
della recente iniziativa avviata con il Ò Cammino di San NiloÓ ideato e gestito
dallĠAssociazione Gazania.
Cos
il racconto si articoler in due parti:
á La
prima di carattere storico, incentrata sullĠavvenuta individuazione del sito e
sulle sue ricadute in merito alle vicende riferite a Sapri e a Scidro;
á La seconda
di carattere propositivo, finalizzata alla migliore conoscenza di questo
passato appena scoperto, attraverso lĠeliminazione di alcuni inconvenienti
riferibili a ÒCammino di San NiloÓ, che stato individuato insieme a i suoi camminatori come un ottimo veicolo di informazione
e pubblicit.
PRIMA
PARTE: RACCONTO STORICO
1.Individuazione del sito megalitico sul Monte Grottillone di Torraca.
Occorre
necessariamente partire dagli studi condotti da Antonio Capano e Pasquale
Fernando Giuliani Mazzei che i due autori hanno
diffuso come ipotesi, attraverso la pubblicazione a stampa, nel 2019 del saggio
intitolato:
IL
SITO MEGALITICO PRESSO TORRACA
Le
coeve e successive testimonianze storiche ed archeologiche
nel territorio di Sapri e Golfo di Policastro
(Tardo Eneolitico – Inizio et del Bronzo – Alto Medioevo III- II millennio a.C. – X sec. d.C.)
Per
una immediata comprensione di tali ricerche, riporto
una breve sintesi del loro contenuto elaborata dallo stesso Giuliani Mazzei con alcune mie integrazioni, avendo preso parte a
tali attivit, dopo avere indirizzato gli autori nei luoghi.
LĠinsediamento
di origine eneolitica sulla terrazza calcarea di Monte Grottillone,
nel comune di Torraca, per la sua tipologia muraria e e le antiche testimonianze storiche ed archeologiche
rilevate nei dintorni, sembra risalire allĠinizio della Et del Bronzo (III
millennio a.C.), cio sembra di origine pelasgica.
Sorge
sul quadrivio tra:
-
La via di costa di Sapri verso il Vallo di Diano,
attraverso il passo della Colla del Cocuzzo (percorso
che nei tempi antichi seguiva, a partire dal mare, la
direttrice Timpone – Mucchie, vallone Giuliani,
Rivellese, Cancero, Starsa;
-
La via diretta dallĠantico porto di Policastro ( fiume Bussento, mar Tirreno)
verso la Basilicata (Lagonegrese allargato, conca del fiume Noce, valle del Sinni,
fino al mar Ionio.
La tecnica edilizia ed
il profilo architettonico dei monoliti sagomati di roccia calcarea e connessi
tra loro con lĠincastro poligonale quella della sezione Aurea che prevede una
progettazione. Questo grande insediamento di venti ettari di origine
eneolitica ed costruito tra le contrade San Vito, Monte Grottillone,
Starsa e Scifo, con unĠ altitudine
che varia da 550 a 680 metri s.l.m.
La planimetria di questo insediamento rilevato
da Antonio Capano e Pasquale Fernando Giuliani Mazzei
(2019), fa ipotizzare che sia la unione di sei aree
edificate tra il vallone del Molinello – Serritello,
il vallone del Giardanasio ed il vallone del Cancero con i rispettivi corsi dĠacqua.
I ruderi di questo insediamento,
sono conosciuti per la facile accessibilit al pascolo e per la sua visibilit
su di un suolo scarso di vegetazione. LĠarea urbana orientata ai quattro
punti cardinali secondo il canone di Ippodamo di
Mileto (N/NW, S/SE, E/NE, W/SW).
Su quel territorio irregolare ed altamente strategico sulla baia di Sapri, le mura erano
ad angoli retti e ad incroci, protetti dai monti Cocuzzo
e Serralonga ad Oriente, e dal monte dei Cordici ad Occidente, che separa la baia di Policastro a
quella di Sapri.
LĠimportante quadrivio predispose quellĠintera
terrazza calcarea al controllo militare, allo sviluppo in un grande centro
abitato circoscritto da mura, nonch alla funzione di
grande mercato marittimo, agricolo, artigianale, sulle coste Tirreniche
Meridionali, a seguito della costruzione, nel punto piuĠ
interno di quello che era lĠantica grande Baia di Sapri, di uno scalo
fortificato, collegato allĠinsediamento collinare per mezzo di un corridoio
altrettanto fortificato (lungo la direttrice Starsa, Cancero, Rivellese, Vallone Giuliani) e protetto da una
cortina muraria e da una torre.
EĠverosimile che
questĠinsediamento di origine tardo – eneolitica di Torraca si sia
sviluppato in molti decenni o secoli che lĠarea piuĠ
antica sia quella sul poggio della pista di Karting, circoscritta dalla prima
cinta, munita del notevole ingresso settentrionale, sia di torri angolari. Il
suolo irriguo di questa area centrale del monte Grottillone con molta probabilit il tetto di un lago, in
una grande cavit carsica, sondato negli anni Ġ80 per la ricerca del metano. LĠipotesi ulteriore che perlomeno in et tardo –
eneolitico lo specchio del lago fosse scoperto cosiĠ
come la sua emissione nel vicino torrente Molinello e che una delle cause
dellĠabbandono di quel grande insediamento sia stato lĠabbassamento e la
perdita del livello dellĠacqua o viceversa che lĠinterramento del lago sia
stato conseguenziale allĠabbandono di quella grande area urbana.
Le cause della rovina di questo centro devono
essere ricercate, oltre che in antiche catastrofi climatiche, nelle vicende
storiche successive, legate al passaggio e alla presenza nellĠarea degli Enotri, dei Lucani, dei Romani e dopo nelle turbolenze che
nel Medioevo hanno investito queste terre nellĠantica Lucania.
Ancora non si proceduto
ad alcuna identificazione certa con una delle citt che le varie fonti storiche
collocano nellĠarea, almeno fino allĠanno 1067 quando nella zona stata
registrata la presenza di un borgo collinare denominato ÒTurracaÓ
e di uno scalo marittimo denominato ÒPortumÓ. Comunque, quasi sottovoce in maniera
sommessa, stata avanzata lĠipotesi che il sito
megalitico di Monte Grottilone e il suo porto
fortificato, costituissero unĠ unica entit urbana da identificarsi con
lĠantica citt arcaica, subcolonia dei Sibariti
conosciuta come Skydros o Scidro,
dove questi si rifugiavano, secondo il racconto di Erodoto dopo la distruzione
della loro citt avvenuta intorno al 510 a.C.
Dopo lĠincendio di Torraca nellĠagosto 1806,
da parte delle truppe francesi del generale Massena,
fu presa in considerazione, almeno in un primo momento, lĠipotesi di
ricostruire lĠabitato proprio sulle colline di San Vito/ Monte Grottillone.
LĠidea
fu subito accantonata per motivi affettivi e di orgoglio a favore della ricotruzione del paese ancora
attorno al suo Castello/Fortezza.
Con
molta probabilit stato da quel momento che iniziata (ed durata per tutto
il secolo XIX) una vera e propria predazione del sito megalitico. Predazione
che non ha riguardato il materiale litico ordinario da utilizzare per la
ricostruzione e costruzione di muri e pareti: Questo era abbondante anche nelle
vicinanze dellĠantico borgo. Sono state invece
prelevate le pietre dĠintaglio, i manufatti litici e i suoi monoliti per
trasformarli, magari sul posto, in archi, portali, piattebande, soglie,
davanzali per finestra, mensole e reggimensole per
balconi, scalini esterni e sedili, scalinate esterne, cantoni esterni,
lastricati, pile (vasche di pietra) per le case palazzate ed in ogni tipo di ornia per
rifiniture e per lĠinserimento di motivi architettonici ed abbellimenti nelle
nuove costruzioni e ricostruzioni.
Il
saggio stato recensito dallo studioso Felice Cesarino con un apposito articolo pubblicato nel marzo 2020 su ÒLĠeditoriale
del CilentoÓ. La sua conclusione stata la seguente:
ÒAlla
luce di quanto sopra, nonostante quelle che a noi appaiono opinabili carenze, il saggio di Capano e Giuliani Mazzei
possiede sufficienti titoli per meritare un posto onorevole nel panorama
letterario sullĠargomento. Un lavoro che fornisce un contributo prezioso alla
conoscenza, storica e geologica, della nostra contrada. Una
terra miracolosamente incontaminata, risparmiata dalle ingiustizie del tempo e
degli uominiÓ.
Purtroppo
a causa anche delle vicende legate alla pandemia che non hanno consentito di
avviare una serie di approfondimenti, dibattiti e incontri sullĠargomento, il
saggio non ha avuto alcun seguito, pur contenendo elementi significativi
per la comprensione anche delle origini dellĠinsediamento urbano di Sapri.
Mi
riferisco ai tempi dellĠantica grande baia, quando la pianura costiera attuale
era inesistente e il mare si spingeva profondamente verso le colline, giungendo
alle pendici del Timpone, delle Mucchie
con ramificazioni nellĠattuale vallone Giuliani (tratto terminale del torrente
Rivellese) e nel vallone della Piazza (tratto terminale del fosso Stregara).
Situazione
facilmente verificabile se si prendono in considarazione
le formazioni geologiche del nostro territorio continentale e le variazioni che
la linea di costa ha subito nel tempo, sulla base anche della recente versione
della carta geologica ISPRA – Foglio 520 Sapri.
Si
parla di circa 4000 anni fa.
2.
Precendente inquadramento del territorio e ipotesi
sulle origini di Sapri.
EĠ
giunto il tempo di ribaltare il punto di vista corrente che continua ad inquadrare il territorio collinare e montuoso che si
affaccia sul mare e le sue vicende storiche, restando con i piedi ben piantati
sulla spiaggia di Sapri, costituita da una pianura alluvionale, inesistente
fino a poco tempo fa parlando in termini geologici.
Non
solo, ma va anche contrastata lĠabitudine a voler considerare tale territorio,
limitato ed instabile , sempre e comunque, come il
centro di tutte le vicende che hanno riguardato fin dallĠantichit questa parte
del Golfo di Policastro, pur presentando nella propria storia – cosiĠ come restituita dagli studiosi locali – un
ÒbucoÓ di circa dodici secoli. CosiĠ quando non vengono rilevati segni evidenti, riferibili ad epoche
precedenti il periodo romano, si fa ricorso al mito popolare ÒSapri, sĠapriĠ e poi periĠÓ significando
che queste tracce sono da ricercare in fondo al mare o scavando profondamente
nellĠattuale pianura costiera.
Altro
mito che viene da tempo rincorso anche quello delle
origini greche di Sapri, suggerendone lĠidentificazione con lĠantica SCIDRO,
qualificata come Òcolonia filo – sibaritaÓ sulla base di quanto Erodoto scrive
nel libro VI delle storie allorch riferisce che i
Sibariti, scampati alla distruzione della loro citt da parte dei Crotoniati
nel 510 a.C. si rifugiarono a Poseidonia, a Lao e a Scidro sul Mar Tirreno.
In
verit il Maiuri ed altri autori, sono dellĠavviso che
SCIDRO sia stato un semplice scalo marittimo ed emporio commerciale. Quindi non una citt strutturata urbanisticamente come le colonie
greche sul Mar Ionio.
LĠelemento
cardine (non dimostrato e comprovato scientificamente) di tale identificazione
e lĠopinione che colloca lĠattuale cittadina di Sapri allo sbocco dellĠantica
via carovaniera che da Siri portava a Pixunte. Via
che, scendendo dallĠarea di San Costantino di Rivello, posta a oltre 600 metri s.l.m portava a Sapri e da qui
procedeva lungo la costa per arrivare a Pixunte.
Quando
stata formulata questa ipotesi forse non si tenuto
conto del dislivello altimetrico che da percorrere (nei due sensi di marcia)
in uno spazio geografico ristretto; stata trascurata la presenza di dirupi e dei
corsi profondamente scavati del vallone del Franco e del vallone di San
Costantino (rinforzato anche da quello della Freddosa).
Il
Brizzi, contrariamente a quanto stato ritenuto, non un corso dĠacqua che scorre direttamente dairilievi
montuosi, con una valle paragonabiile a quella del
fiume Bussento: una sorta di canale che raccoglie
le acque di questi valloni e di quello del Rivellese/Giuliani che in tempi
antichi sfociavano con tutto il loro carico di detriti, direttamente nel mare.
Acque che – mano a mano che questo si ritirato
e che lĠarea della grande baia, rimasta in secca, stata riempita dai detriti
alluvionali trasportati che si sono sovrapposti ai depositi sabbiosi marini
– sono state costrette a trovare comunque un percorso per giungere fino
al mare.
Ci
si dimenticato che si parla di circa 3000 anni fa con una linea di costa che
si spingeva verso le colline e con una pianura costiera molto ridotta, non
idonea e non sufficiente ad ospitare un centro urbano
articolato, con spazi dedicati allĠagricoltura, oltre al transito di una via
carovaniera, trafficata nei due sensi da lunghi convogli di asini e di muli con
carichi anche molto preziosi.
Vale
la pena di ricordare che Sibari esercitava un ruolo cruciale nel commercio dei
beni e delle merci preziose che, provenienti da Mileto nellĠAsia Minore,
avevano come destinatari finali soprattutto le ricche citt etrusche della
Campania. Questo commercio che si svolgeva in diretta concorrenza con i
calcidesi di Reggio e Messina avveniva attraverso le vie istmiche interne che
portavano dal mare Ionio al Mar Tirreno. Vie che dopo la sconfitta di Siris
includevano anche la carovaniera Siris – Pixunte,
magari con lĠimpiego come scorta della terribile cavelleria
Sibarita.
Allora
considerata la preziosit dei carichi e il fatto che anche la linea di costa da
punta Fortino a Policastro era molto piuĠ avanzata
verso lĠinterno, fino ai piedi delle colline costiere che si presentavano come
veri e propri promontori, dovrebbe essere spiegato il senso logico pratico e
strategico di questo percorso/passeggiata tra Scidro
e Pixunte lungo il mare con continui saliscendi.
Per
giunta questo sarebbe dovuto avvenire in unĠ area che
pur occupata dagli alleati Enotri, era soggetta ed
esposta alle incursioni dal mare oltre che dei rivali Calcidesi anche dei
Tirreni e dei Fenici. Questi pur in rapporti commerciali con le colonie greche,
ricorrendone lĠoccasione non si sarebbero astenuti dal compiere atti di
pirateria ai danni delle carovane greche.
In
alternativa a quella innanzi richiamata sulle origini
greche, stata affacciata anche lĠipotesi di Òinserire Sapri in un contesto
Enotrio – laddove gi Palinuro, Molpa e Pixous (odierna Policastro) sono state segnalate fra le
localit indigene costiere , per quanto riguarda il solo lato Campano del Golfo
di Policastro.
Niente
di pi pertinente, ma secondo quando rappresentato in
sede di descrizione del sito megalitico del Monte Grottillone
occorre forse andare piuĠ indietro nel tempo prima
dei Greci e degli Enotri spostandosi per verso il
territorio di Torraca, anzich seguire la via per San
Costantino di Rivello che ha avuto attraverso lĠarea della Carnale, la sua
rilevanza come zona di passaggio soprattutto in epoca romana. I Romani –
giunti piuĠ tardi e valenti costruttori di strade e
di ponti – avevano lĠesigenza militare di controllare il territorio
interno, occupato dagli indomiti Lucani, non erano interessati al commercio tra
il Mar Ionio e il Golfo di Policastro.
La
presenza nellĠarea di sentieri che collegavano tra di loro i vari punti di insediamento degli Enotri,
prima, e dei Lucani dopo, non fa di questi un a testimonianza certa della preesistenza
di antiche carovaniere provenienti dal Mar Ionio.
Sfugge
allĠosservazione dei pi la continuit e quindi il
carattere unitario del territorio occupata da Torraca, in collina e da Sapri
sulla costa, con un andamento dolcemente digradante dai monti a mare. Tale
andamento ha da sempre favorito lĠaccesso diretto dalla costa di Sapri al Vallo
di Diano e allĠarea occidentale dellĠattuale Basilicata, attraverso i passi
della Colla del Monte Cocuzzo e del Fortino. Tra le
strade borboniche ancora segnalate nel 1822, figurava il collegamento tra
Cervaro (Fortino) – Torraca – Sapri che ricalcava il pi antico
sentiero che in epoca romana collegava trasversalmente la via Popilia e la via costiera
Tirrenica da Vicus Mendiculeos
alla baia antica di Sapri. Non ci si deve meravigliare che tale carattere
unitario ne abbia determinato gi in epoca antichissima
lĠ appartenenza ad un unico centro di riferimento, registrando di volta in
volta la preminenza ora dellĠarea costiera (epoca romana) ora dellĠarea
collinare (Alto Medioevo), anche in
rapporto allĠassestamento idrogeologico dellĠarea marina e alla sua frequentazione.
A partire dallĠAlto
Medioevo e fino agli inizi del 1800, (quando Sapri fu costituita in comune
autonomo), tale carattere unitario, che ne aveva determinato lĠappartenenza
alla contea di Marsico assegnata nel 1150 da Ruggero II a Silvestro di Ragusa
stata accompagnata dalla dipendenza del porto di Sapri dai feudatari di
Torraca.
Non
stata sufficientemente esplorata, invece, lĠipotesi sulle origini di Sapri
che riportata alla pagina 25 del libro di Angelo Guzzo ÒSapri – Storia e LeggendaÓ. Qui
si legge testualmente: ÒSecondo alcuni storici, Sapri sarebbe stata citt
antichissima non molto distante dal fiume Bussento,
di origine pelasgica. I pelasgi, configurati in vari rami, sperduti nel
mito, fecero capo agli Ioni o Iavoni. Il loro nome
significa antichi pellegrini. Alla perenne ricerca di terre ubertose e luoghi
naturalmente protetti, essi girovagarono per tutto il Mediterraneo (2000 a.C.).
DĠindole pacifica, lavoratori instancabili e abilissimi commercianti, portarono
ovunque civilt e benessere. Il loro raggio di azione si estese dal Cilento
agli Appennini settentrionali ed esercitarono fra i tanti mestrieri
anche quelli di fornaciari e pentolieri.
Durante
una delle loro migrazioni, attratti dalla naturale comodit del sito e dalla
singolare bellezza del paesaggio, si sarebbero fermati verso il 1800 a.C. nei
pressi dellĠodierna Sapri, fondandovi un grande villaggio cinto di solide mura
e di numerose fortificazioni.Ó
Questo
racconto che si rif allo storico Nicola Corcia
stato liquidato con un commento che non ammette ripensamenti:
ÒTali
origini che si confondono con il mito e la leggenda non sono state per provate
e, probabilmente non lo saranno maiÓ.
3.
Nuovo inquadramento del territorio.
La
pubblicazione del saggio di Capano e di Giuliani Mazzei,
che non si sono affatto mossi sulla base del racconto
del Corcia, dopo gli opportuni approfondimenti,
potrebbe avviare la revisione di questo giudizio. Tale saggio
infatti, permette di riscrivere un nuovo racconto, semplicemente aggiungendo
in quello gi riportato dal Guzzo a Ònei pressi di
SapriÓ queste parole Òin localit Monte Grottillone
nel territorio di Torraca su una terrazza calcarea che si affaccia sul mareÓ e
tenendo presente che i Pelasgi erano uno dei popoli del mare che si muovevano
per il Mediterraneo e quindi con la necessit di un approdo sicuro e
fortificato allĠinterno dellĠantica baia di Sapri (loro punto di arrivo)
collegato attraverso un corridoio altrettanto fortificato con il sito
collinare, dove potevano disporre degli spazi necessari per impiantare un
grande villaggio cinto di solide mura e fortificazioni.
Al di l di ogni
riferimento diretto ai Pelasgi e ai popoli del mare che potrebbe far scivolare
lĠintera vicenda, ancora una volta nelle nebbie del mito lĠimportanza del
saggio stata quella di aver individuato, fino a prova contraria, lĠesistenza
di un sito megalitico risalente al III-II millennio a.C. Sito senzĠaltro opera
di uomini o meglio di un popolo che approdato in questa particolare area del
Golfo di Policastro, si stanziato tra il Monte Grottillone
e il mare e qui rimasto per un periodo inprecisato,
prima dei Lucani, dei Greci e degli Enotri. Nel prosieguo i termini ÒPelasgiÓ o ÒpelasgicoÓ che continuer
ad utilizzare, vanno intesi in senso convenzionale, per indicare questo popolo
non conosciuto.
Questo grande villaggio, situato allĠincrocio
di una notevole viabilit, (entrambi di origine ÒpelasgicaÓ) per effetto di
movimenti e di sovrapposizioni non necessariamente sempre
cruenti, legati alle vicende migratorie dei Pelasgi stessi e degli Enotri, hanno visto arrivare dal Sud questa nuova
popolazione in fasi successive. Popolazione, originariamente approdata e
stanziatasi sulle sponde del Mar Ionio, che si spinta
verso lĠinterno, a seguito delle varie primavere sacre che ne hanno
caratterizzato la diffusione nelle regioni continentali fin dallĠinizio e
quindi a seguito del definitivo abbandono della pianura costiera del Mar Ionio,
sotto la spinta dellĠarrivo nellĠarea dei coloni Greci.
In questi movimenti gli Enotri,
hanno seguito vari itinerari che poi sono diventati le vie istmiche che hanno
collegato il mar Ionio con Il mar Tirreno per
soddisfare le esigenze commerciali delle stesse colonie greche affermatesi
sulle coste Ioniche.
Nel sito megalitico e nella sua proiezione sul
mare, gli Enotri, conosciuti come Òabitatori delle
rocceÓ hanno trovato forse lĠhabitat naturale per il
loro insediamento, in sostituzione e/o in aggiunta ai Pelasgi.
EĠ con gli Enotri,
diffusisi anche in tutto il Golfo di Policastro, che i greci delle colonie
ioniche (Siris- Sibari) hanno dovuto fare i conti, essendo diventato enotrio il territorio che avrebbero
dovuto attraversare con le loro carovane. Non solo, ma la necessit di disporre di servizi logistici, per la sosta lo stoccaggio
delle merci, per lĠ accesso alle fonti di acqua dolce e ad approdi sicuri sul
mare, ha reso necessario il ricorso ad intese ed accordi con gli Enotri, da parte delle colonie di Siris, prima e di Sibari,
poi.
Tra le vie carovaniere, quella che interessava
la nostra area stata individuata nella Siris – Pixunte
di cui certo il percorso fino al territorio di Rivello (antica Sirinos) e piuĠ precisamente fino
allĠarea del Rotale/San Costantino.
Per quanto gi evidenziato in precedenza, non
pu essere accettata lĠipotesi che questa via possa aver seguito nel tratto
finale lĠarco della costa lambita allĠepoca dal mare, ma piuttosto plausibile
che il percorso, ad una quota piuĠ
alta abbia seguito lĠarco delle colline litoranee del golfo.
A questa conclusione sono giunto attraverso le
informazioni e le notizie acquisite dalla lettura delle pubblicazioni degli
amici Domenico di Lascio, Amedeo La Greca e Luca
Esposito. Ho anche utilizzato le antiche memorie di transumanze e di racconti
di viaggio, riferitimi da Agostino e Giuseppe Giudice, da Nicola Antonucci e
Pietro Bruno. Viaggi compiuti con partenza dal sito megalitico attraverso la
valle del Noce fino ed oltre i passi di Pecorone
(Seluci, valle del Sinni) del Galdo (Conca di Castelluccio, Rotonda e Laino),
oltre che in direzione Sud verso Trecchina, le frazioni montane di Maratea e la
fiumara di Castrocucco (area dellĠantica Blanda). Alcuni di questi sentieri
coincidono con gli antichi percorsi che i monaci italo-greci
hanno seguito, a suo tempo, per raggiungere dal Mercurion,
le terre dei Principi.
In questo modo sono giunto ad
ipotizzare che la via carovaniera Siris – Pixunte,
dal Piano del Rotale, per sentieri ancora praticabili, si avviasse nel suo
percorso verso il mare, nel territorio al confine tra gli attuali comuni di
Rivello, Lagonegro, Tortorella, Casaletto Spartano, che segna anche il confine
tra la Campania e la Basilicata. Da qui proseguendo lungo le pendici
meridionali del sistema montuoso di Serralonga,
sempre nel territorio di Tortorella, ai margini delle localit Cerasia e Tempa di Fele di Torraca, scendeva
progressivamente di quota fino allĠarea di Monte San Vito – Starsa. Quindi la via dal sistema montuoso - attraverso una
sottile striscia di terra, quasi una sorta di ponte naturale che fa da
spartiacque tra il bacino del Gerdanasio e il bacino
del Cancero/Rivellese – si appoggiava al
sistema collinare dellĠentroterra del Golfo di Policastro, intercettando anche
la via che dallĠantica baia di Sapri portava al Vallo di Diano e alle contrade
dellĠattuale Basilicata occidentale attraverso i passi della Colla del Monte Cocuzzo e del Fortino.
Particolare piuĠ
interessante la via giungeva al grande villaggio situato sul Monte Grottillone di Torraca che finiva col costituire un punto
strategicamente rilevante per la sosta e gli scambi commerciali che
accompagnavano qualsivoglia carovana. Questo sito,
abbastanza grande, poteva disporre, oltre che di un ottimo sistema di difesa,
di tutti i servizi logistici necessari, costituiendo
a sua volta il punto di raccolta per il commercio dei prodotti della pesca e del sale provenienti dal proprio scalo sul mare. A questo
porto potevano anche essere avviati direttamente per lĠimbarco, merci e prodotti
specifici, che trasportati dalle carovane provenienti dal mar Ionio avevano gi
ben definiti destinzioni e destinatari. Allo stesso
modo in senso contrario potevano giungere dallo stesso porto al
sito prodotti e merci particolari provenienti da ben specifiche
contrade, destinati ad essere trasportate nel Vallo di Diano o direttamente
verso il mar Ionio.
Dal sito megalitico collinare la via
carovaniera continuava verso ovest, appoggiandosi alle colline del Serritello e dei Carpini ancora nel territorio di Torraca.
Raggiunta la contigua area di San Nicola/Vallina, il percorso rientrava nel
territorio di Tortorella, attraversava parte del territorio
di Vibonati, lambendo quello di Morigerati/Sicil (zone queste che portano
tracce del successivo arrivo dei Lucani) per proseguire attraverso il
territorio di Ispani e di Santa Marina fino a Pixunte,
posta tra il fiume Bussento e il Mar Tirreno. Ancora
oggi questĠarea collinare attraversata da un reticolo di strade, non solo in
direzione Est/Ovest, ma anche in direzione Nord/Sud,
che favoriva notevolmente gli scambi e i rapporti commerciali anche con le
popolazioni indigene.
Fino
allĠanno scorso, un allevatore di Sicil conduceva la propria mandria ai
pascoli estivi di Latronico (alta Valle del Sinni) seguendo proprio il percorso
di questa via carovaniera in direzione Est.
Si pu facilmente affermare che il sito di
Monte Grottillone e il suo porto fortificato, divenunti Enotri abbiano svolto
un ruolo strategico nei commerci delle colonie greche. Non ci si deve
meravigliare quindi che il nostro territorio abbia potuto ospitare profughi
Sibariti, giunti fin qui via terra, dopo la distruzione della loro citt del
510 a.C., e dopo che questa in precedenza avesse di molto ridimensionata
la presenza e lĠattivit nellĠarea Tirrenica della rivale Siris.
Questo ruolo di intermediazione
commerciale, secondo la rappresentazione delineatane durata fino a quando
hanno fatto irruzione i Lucani tra il VI e il V secolo a.C. Il risultato di
questa invasione stato quello di interrompere i traffici con il mar Ionio
anche se i nuovi arrivati ne hanno utilizzato per scopi di conquista le stesse
vie carovaniere.
A subire gli effetti immediati di questa
irruzione stato senzĠaltro il sito collinare sul Monte Grottillone
anche perch i Lucani avevano un modo diverso di
occupare, presidiare e sfruttare il territorio ricorrendo a piccoli
insediamenti sparsi, su base tribale intervallati da
spazi dedicati allĠagricoltura e allĠallevamento, e con distinte necropoli.
Questi insediamenti sparsi erano comunque organizzati attorno ad un ÒarxÓ (recinto fortificato) destinato ad
ospitare i servizi, le cerimonie sacre, le funzioni e le manifestazioni di
natura politica e sociale.
Questa tipologia di insediamento
nellĠarea stata confermata da rinvenimenti fortuiti che hanno messo in
evidenza una serie di insediamenti lucani, distribuiti a corolla sulle colline
interne del Golfo di Policastro. Per il nostro territorio basta ricordare le
localit di San Martino, Seminario, San Giocondo, Cordici,
San Fantino, Stregara e Pallarete
tutte situate su sentieri che portano verso il mare.
Quindi i Lucani
che continuavano a mantenere la loro struttura dei touta,
nel loro movimento da Nord a Sud e dallĠinterno alla costa non hanno preso in
considerazione per il loro insediamento il grande villaggio sul Monte Grottillone, che conseguentemente, ha subito un lento
declino. Essi si sono sistemati sulle colline che si affacciavano sul porto
fortificato, individuando il proprio ÒarxÓ forse sui
rilievi calcarei immediamente sottostanti al Monte Grottillone, ad unĠaltitudine di
450 metri s.l.m. dove piuĠ tardi sorto lĠantico
borgo fortificato di Torraca. Si ritiene che la seconda parte del toponimo
ÒTorracaÓ possa essere la trasformazione di arx (propriamente
luogo forte per natura e/o per opera dellĠuomo, quindi rocca forte) e che per
metatesi con successiva assimilazione della ÒXÓ abbia dato alla finale del
toponimo odierno in ÒACAÓ.
La nuova situazione venutasi a determinare con
lĠarrivo dei Lucani nella nostra area ha imposto alle colonie greche del mar
Ionio, lĠesigenza di svolgere i propri traffici e commerci seguendo la via
marittima. A riguardo si ricorda lĠarrivo nel Golfo di
Policastro di Micito di Reggio e il suo approdo
allĠantica Policastro. In questo cambiamento di strategia, non da escludere
che il porto fortificato sullĠantica baia di Sapri abbia iniziato a svolgere un
ruolo autonomo anche per effetto dellĠarrivo dei profughi Sibariti.
Questa condizione di autonomia durata almeno
fino a quando i Lucani non hanno deciso di occupare gli approdi costieri sul
mar Tirreno da Blanda a Laos. Stessa sorte ha subito anche il porto sullĠantica
baia di Sapri essendosi resi conto, i Lucani, dopo il
passaggio di Alessandro il Molosso (che aveva attaccato e sconfitto i Sanniti a
Poseidonia, prendendoli alle spalle) del rischio e
del pericolo di lasciare punti di approdo non direttamente presidiati.
Da quanto sopra affermato, anche se ne viene messa in dubbio lĠorigine greca, non discende affatto
che si voglia negare per Sapri unĠorigine piuĠ
antica; anzi viene confermata lĠappartenenza sia del porto fortificato sia del
sito di Monte Grottillone ad un unico centro di
origine ÒPelasgicaÓ, diventato
Enotrio. Ed questo centro che va
identificato come lĠantica Scidro.
Questa ipotesi non confligge con la compresenza nellĠarea dei due toponimi Scidro
e Sapri, argomento che sembra abbia meritato lĠattenzione di alcuni studiosi. EĠmia opinione che per interpretare i toponimi antichi,
soprattutto se riferiti al periodo preromano, prelucano
e pregreco, sia opportuno riferirsi alle lingue in uso in quel periodo specifico,se possibile. Cos ho preferito lĠinterpretazione formulata da Felice Crippa in
ordine al significato di Sapri, inteso come luogo che sta Òal di fuori
dellĠacqua o davanti allĠacquaÓ cio semplicemente Òun luogo affacciato sul
mareÓ. Interpretazione che pure lo stesso autore ha chiarito che si tratta di
unĠinterpretazione Ò arditaÓ o magari eccessivamente suggestiva
basata per sui termini della lingua mediterranea che ha preceduto sia il greco
che il latino.
Questo perch il
Crippa non ha condiviso la derivazione del toponimo Sapri dallĠaggettivo greco
ÒSaprosÓ (putrido e marcio) con riferimento alla
presenza di paludi, suggerita dallo studioso Battisti nel suo testo ÒPenombre
nella toponomastica pre romana del CilentoÓ.
Derivazione che tuttĠoogi
condivisa dai piuĠ per due ordini di considerazione:
á Il
derivato latino ÒSaprusÓ ha analogo significato;
á La
presenza di paludi nella zona di Sapri fino al XX secolo.
In verit lo stesso Battisti considera
toponimo preitaliano Sapri, Òche ha certamente una
storia pre romanaÓ, anche se poi afferma che Òse
Sapri un nome antico chiaro che non vi pu
corrispondere lĠantica Skydros di Erotodo,
a meno che Scidros non sia la traduzione del nome in
Lucano o risalga ad un periodo pre greco o pre romanoÓ. Per quando detto in precedenza bisogna
riportarsi indietro nel tempo proprio ad epoche
antecedenti il periodo lucano e greco. A questo punto vale la pena ricordare
quanto ha scritto G.Racioppi
nel volume I della ÒStoria dei popoli della Lucania e della Basilicata
pubblicata nel 1889.
Qui si pu leggere testualmente:
ÒPer le antichissime e gi da remoti tempi
scomparse citt pre Lucane di Scidro
e Lagaria, questa si pu
riattaccare al sanscrito ÒurbsÓ e Scidro
al tema Òcidra, cavitas o caverna
ed avrebbe lĠorigine stessa e il valore di tanti odierni nomi di odierni paesi,
Grotta, Grottaglia e similiÓ.
Se si accetta questo significato di Scidro si deve tenere presente che
il centro del sito megalitico, o meglio, del villaggio collinare situato sul
Monte Grottillone al di sopra dei Grottoni, ai
margini di una cavit perilacustri delimitata ad est
del torrente Cancero, profondamente scavato nelle
rocce calcaree con pareti molto alte. Questo torrente confluisce nel Rivellese
con un percorso altrettando incassato nel terreno
roccioso, che sfociava un tempo nellĠantica baia di Sapri. Qui sorgeva il porto
fortificato (il confine sul mare di Scidro che quindi era un luogo affacciato sul mare.
Se la derivazione linguistica questa, i due
toponimi Scidro e Sapri, potevano benissimo
coesistere: il primo per indicare lĠintera area collinare e marina fortificata;
il secondo solo il suo confine fortificato affacciato sul mare che ha assunto
rilevanza autonoma dopo il declino del villaggio collinare a seguito
dellĠirruzione nellĠarea dei Lucani. Situazione questa che ha portato
progressivamente allĠabbandono del toponimo Scidro se
riferita allĠintera area,allĠaffermazione
del toponimo Sapri se riferito solo allĠantica baia.
Questa ipotesi di inquadramento
e e dĠidentificazione del territorio, trova conferma
nella presenza nellĠarea – tra il Monte Grottillone
e lĠantica linea di costa – di due distinte indicazioni toponomastiche
significative, anche se non piuĠ presenti nella
cartografia attuale. Una si riferiva al territorio del comune di Sapri, piuĠ precisamente alla zona posta alle spaalle
del rione Marinella con direzione verso il Timpone.
Infatti, attraverso alcuni atti di nascita del 1882 si rileva qui la presenza
di una strada denominata ÒStrada Scidro dei Sibari (ti)Ó circostanza questa gi
evidenziata senza alcun risultato dallĠamico Ferruccio Policicchio,
studioso attento e documentato nella sua opera ÒIl decennio francese nel Golfo
di PolicastroÓ.
La seconda si riferisce al territorio del
comune di Torraca, nellĠarea che si colloca tra il sito megalitico e lĠantica
baia di Sapri, lungo il corridoio fortificato che li collegava. Tale
indicazione riguarda la chiesetta di San Fantino ed contenuta in un documento
normanno del 1097. Con tale documento il signore del luogo Odobon
Marchisius, imparentato con Roberto il Guiscardo, concedeva al miles
Sergio di Bonati di costruire un monastero, anche nei pressi di quello che
veniva indicato come ÒTemplum Sancti
Patris Nostris Phantini de ScidoÓ. EĠ fuor di dubbio che con Scido si sia voluto indicare nel documento la localit col suo antico
nome, ancora usato allĠepoca e ben idoneo ad individuare il templum
di riferimento, prima che sĠimponesse nellĠuso corrente, successivamente il
toponimo di San Fantino. Tale circostanza stata rilevata anche dallo studioso
Francesco Attanasio che, comunque, nel riferirsi a tale localit insiste nel
parlare Òdi territorio SapreseÓ. Anche questa
annotazione caduta nel nulla e la ricerca di un riferimento e di un
collegamento con toponimi locali della Scidro di Erotodo stata diversamente indirizzata.
Forse meglio lasciare agli esperti la
discussione sulle identificazioni del sito collinare e del suo approdo sul mare
con una delle citt che le varie fonti storiche collocano nellĠarea.
Il problema piuĠ
importante ed urgente ritengo sia quello di confermare
(o smentire) con ulteriore approfondimenti e studi sul campo quanto affermato
dagli autori Capano e Giuliani Mazzei in erito allĠesistanza di un sito
megalitico risalente al III millennio a.C.
Da qui la formula interrogativa usata nel
titolo che vuole essere un invito rivolto agli stessi autori e agli studiosi in
materia a compiere ulteriori ricerche, proprio perch lĠindividuazione del sito avvenuta sulla base di
elementi oggettivi, rilevati in loco e non attraverso il racconto riferito da
un autore di secoli passati. Le parentesi usate per racchiudere il punto
interrogativo vogliono evidenziare che non si tratta di un dubbio soggettivo ma
di un esigenza oggettiva, concreta e ineludibile ai
fini della ricostuzione e dellĠinquadramento delle
vicende storiche del territorio attualmente occupato da Torraca e Sapri.
PARTE SECONDA: PROPOSTE
Per quanto riguarda il mio ruolo di raccontastorie, ritengo che allo stato dei fatti, salvo
smentite, sia quello di diffondere il piuĠ possibile
quanto individuato nellĠarea del Monte Grottillone e
nella sua proiezione sul mare, attraverso il vallone del Cancero/Rivellese,
le localit San Fantino, Stregara, Verdesca e le
propaggini meridionali del Monte Rotonda e del Monte Mancosa.
Ho sempre ritenuto che un ottimo veicolo di
pubblicit e di informazione al riguardo potesse
essere il Cammino di San Nilo e i suoi camminatori, fin da quando il punto di
partenza inizialmente era stato indicato proprio nella cappella di San Fantino.
Da segnalare che questa chiesetta non si trova
nel borgo, n lungo il percorso della tappa (oggi
seconda) Torraca – Casaletto Spartano. Essa di propriet privata sorge
solitaria nellĠomonima localit, in un terreno altrettando
privato a sud dellĠabitato di Torraca, ai piedi del Monte Castellaro e lungo il
vallone del Rivellese. Da qui la conseguenza che i camminatori giunti
direttamente a Torraca e che non abbiano trovato sistemazione nellĠagriturismo
vicino alla chiesetta, si avviino direttamente lungo
il percorso della seconda tappa saltando a pi pari la visita al tempio (o
meglio ai suoi ruderi).
Oltre a tale inconveniente da segnalare che
la parte iniziale della tappa Torraca – Casaletto Spartano, avvia i
camminatori lungo una strada asfaltata, in forte salita, fino alla pista di Karting
che si trova proprio ai margini del sito megalitico del Monte Grottillone.
LĠesigenza di eliminare questi inconvenienti,
unita alla possibilit di avviare finalmente una campagna di informazione
e di pubblicit del sito, mi ha suggerito alcune iniziative da sottoporre agli
organizzatori del Cammino di San Nilo e allĠamministrazione comunale di
Torraca.
2.1 PRIMA PROPOSTA
La prima di queste iniziative stata quella
di individuare un possibile percorso in sostituzione di quello proposto su
strada asfaltata. Tale attivit stata favorita dallĠesistenza di un bel
sentiero che parte dal centro di Torraca, alle spalle dellĠInfopoint,
per arrivare ai Grottoni di Monte Grottillone, alla
quota di 522 metri s.l.m.
I Grottoni sono formazioni molto interessanti
e visitabili in tranquillit come si pu rilevare dalla descrizione che segue
ricavata dalle notizie riportate da Giuliani Mazzei.
Al di sotto della sommit
del monte Grottillone, alla quota di 520 metri s.l.m, nei pressi del Valloncello del Molinello si trovano
i ÒGrottoniÓ, censiti nel catasto delle grotte della Campania a NĦ CP908.
Questi
sono una geoformazione carsica di roccia calcarea,
composta da piccole sale quadrangolari, simili a
celle, certamente sagomate dallĠintervento umano ed il cui prospetto esterno
formato dalla roccia viva, resa perpendicolare al suolo ed inframezzata da
ingressi quadrangolari che accedono a quegli ambienti, perlopiuĠ
comunicanti tra loro, per mezzo di ingressi esterni e di qualche lunetta
ricavata nelle pareti rocciose per illuminarli il piuĠ
possibile con luce naturale proveniente dagli ingressi esterni: sulle pareti e
sul basso soffitto roccioso, non si notano segni di fuliggine.
LĠimpianto
si estende perlopiuĠ in lunghezza sulla leggera
pendenza naturale del suolo roccioso ed attraversato longitudinalmente da tre
condotti cavati, sagomati e levigati nella pietra viva. Alcune caratteristiche
strutturali e la presenza di specifici elementi che appaiono essere residui di
canalizzazione idrica, fanno pensare ad una sorta di
inalveamento di una sorgente e/o di acque percolanti.
In
alcuni ambienti di quellĠimpianto ad alveare si rileva lĠuso di calce
fredda/fango talvolta mista a brecciolino, oltre alla
presenza di picconature.
LĠultimo
gruppo di ambienti che formano la sezione piuĠ
elevata di quellĠimpianto preceduto allĠesterno da
ruderi pseudo – isodomi di un piccolo fabbricato monovano. In questa area di recente, stata rinvenuta da me da mio
figlio Francesco, da Vincenzo, Giuseppe e Tiziano, una sorta di pietra –
scultura (cm 35 x cm 21, con uno spessore da 5 a 7 cm) che evoca le sembianze
di quello che sembra un animale marino: una delle estremit appare modellata a
moĠ di testa di pesce.
Secondo
lo studioso Felice Cesarino che non si pronuncia sullĠantichit del reperto,
potrebbe trattarsi sulla base di un esame superficiale
di una pietra istoriata a profilo animale, una tipologia molto rara almeno in
Italia.
Si ipotizza che questi ambienti,
naturali e sagomati, siano stati anche, in epoca piuĠ
tarda, siti eremitici e che abbiano costituito in epoca precedente, unĠarea
sacra legata al culto delle acque.
Tuttavia, la fitta rete dellĠacquedotto urbico dellĠarea centrale dellĠinsediamento di Monte Grottillone, sovrastante rende probabile che lĠimpianto idraulico dei Grottoni, ne canalizzasse le acque carsiche e reflue nel Valloncello del Molinello.
Con
lĠaiuto dei miei amici allevatori, Carminuccio e Giuseppe, ho individuato e
segnato un altro breve sentiero che da i Grottoni,
alzandosi di quota e passando nei pressi della Grava di Torraca (altra
curiosit naturalistica), giunge in breve tempo al centro del sito megalitico,
ricco di monoliti, tumuli di pietra e dalla presenza di altre formazioni
litiche, con un panorama fantastico sul mare e con una vista che va dalla baia
di Sapri a Punta degli Infreschi. Da qui, attraversata la Piana del Ferro,
sĠintercetta il percorso del Cammino di San Nilo a 50 metri dalla pista di
Karting.
La
presenza del toponimo Piana del Ferro come pure quello di Piana dei Pallottini, riferita proprio alla pista di Karting, pu
richiamare alla memoria le competenze che gli Enotri
avevano raggiunto nella metallurgia del ferro.
Il
tempo di percorrenza di questo nuovo percorso identico a quello del tratto da
sostituire fatto salvo il tempo che i camminatori vorranno dedicare alla visita
dei Grottoni e del sito.
Sono
anche queste caratteristiche unitamente alla presenza di rilevanti fenomeni di
carsismo di superficie, che mi portano a suggerire
allĠaministrazione comunale di Torraca, lĠavvio di
uno specifico studio per lĠistituzione di un piccolo parco, anche con finalit
didattiche che copra lĠintera area del Monte Grottillone
e delle collinee calcaree collegate. Mi rendo conto
che lo sforzo organizzativo sia abbastanza impegnativo ed
oneroso, anche perch, con lĠauslio
di Organizzazioni come il CAI bisognerebbe individuare e segnare sul terreno un
grande sentiero ad anello con altri sentieri trasversali con idonea
cartellonistica.
2.2 SECONDA
PROPOSTA
La
seconda iniziativa messa in campo mirata invece a rendere, comunque,
dĠinteresse una visita ed una sosta alla chiesetta di
San Fantino e allĠarea circostante, da parte di tutti i camminatori e non solo.
Tale
iniziativa deve coinvolgere necessariamente lĠamministraziione
comunale dovendosi stringere accordi ed intese con i
privati, liberare e risistemare alcuni sentieri, collocare unaĠadeguata
segnaletica e, se possibile, realzizzare unĠarea di
sosta idonea al pernottamento in tenda.
Lo
scopo quello di creare un percorso circolare per
lĠaccesso ai luoghi e per la visita di tutte le emergenze storiche e
naturalistiche presenti nellĠarea. Tale percorso potrebbe essere denominato
ÒPasseggiata nelle terre di San Fantino di Scido e dintorniÓ.
LĠaccesso
a questo percorso dovrebbe essere garantito non solo da Torraca, ma anche da
Sapri attraverso il ripristino degli antichi sentieri della Verdesca e della Stregara, a destra del Vallone del Rivellese.
NellĠoccasione potrebbe essere verificata anche la possibilit di ripristinare
alla sinistra dello stesso vallone, dopo lĠ attraversamento
dellĠantico ponte di pietra, a partire dai Balzi di sotto del Monte Rotonda,il collegamento con la localit Foresta che porta direttamenet verso lĠarea e il ponte romano della Carnale nonch alla sovrastante area di San Costantino di Rivello.
Ritengo
oppotuno illustrare brevemente le caratteristiche e i
punti piuĠ interssanti di
questa camminata partendo dalla chiesetta di San Fantino, per la cui
descrizione mi sevir a
piene mani delle annotazioni che, separatamente, i professoni
Wilma Fittipaldi e Amedeo La Greca, hanno dedicato al
piccolo tempio rispettivamente nei volumi: ÒLa presenza Bizantina nella Lucania
e nel Meridione dĠItalia – Arte, storie e religiositÓ e ÒTemi per una
storia di TorracaÓ.
á
Chiesetta di San Fantino
La chiesetta dedicata come si sa, a San
Fantino lĠEgumeno, morto e sepolto
nelle vicinanze nel 965, ed stata costruita nellĠXI
secolo con orientamento verso oriente.
DellĠedificio degna di nota proprio la
parete orientale che nella parte interna ospitava il presbiterio, dove si trova
lĠabside affiancata da due absdiole a moĠ di nicchia
sollevate dal piano di calpestio. AllĠesterno della stessa parete colpiscono i
particolari architettonici e decorativi... anche se consistenti in pochi
elementi superstiti dellĠoriginario apparato, perch
provano la continuit di uno stile riscontrabile in struttre
bizantine della Calabria e della Campania. La successione ritmica dei motivi
geometrici consiste in una fascia di laterizi disposti a spina di pesce
ottenuta disponendo i mattoni di taglio in maniara da
creare un motivo decorativo (spesso a triangolo isoscele) si ripete a
intervalli regolari ed riempito da ciottoli di torrente.
Con ogni probabilit San Fantino aveva trovato
rifugio nei pressi di una necropoli greco –
lucana abbandonata, tantĠ che in occasione delĠĠimpianto
di una vigna nelle vicinanze della chiesa furono rinvenuti vasi in frammenti di epoca lucana. Ci
viene anche suggerito dal fatto che gran parte del frontespizio e gli angoli
dei muri dellĠedificio sono formati da lastroni di pietra, molto simili a
quelle propri delle tombe greco – lucane a
fossa.
In verit lĠinserzione nella fabbrica
originaria di questi elementi litici – come pure la trasformazione della
forma originaria che era quella classica, quadrata ad aula greca - stata
realizzata alla fine del 1600, quando la cappella venne ampliata e restaurata
su iniziativa del prete Michele Brandaleone con il
consenso del vescovo dellĠepoca.
Nel documento notarile che fu redatto dal
notaio Domenico Magliano detto con chiarezza che
vennero ricostruiti per intero Ò I quattro cantoni ed il frontespizio con
pietra dĠintaglio et anco un arco sopra lĠaltare medesimamente di pietre scalpellateÓ.
Si tratta proprio di quei lastroni di pietra
locale evidenziati che sono spessi allĠincirca 20 centimentri con unĠaltezza di 50/60 centimetri e lunghi
alcuni fino a 2 metri che potrebbero venire dallo smantellamento di tombe di
tipo greco – lucano oppure da qualche altro edificio antico preesistente
dove si era rifugiato San Fantino. Non da escludere nemmeno che essendo stati
eseguiti i lavori alla fine del 1600, questi lastroni possano pervenire come
materiale di risulta da quel monastero che il miles Sergio di Bonati era stato autorizzato a costruire
nei pressi della chiesetta.
Tutti questi elementi architettonici che possibile ancora leggere sui muri diritti, ancora in
piedi, privi della copertura di un tetto da tempo crollato, Òconcorrono a dare
a quei miseri ma nobili ruderi quel senso di antica suggestione che si conviene
ad un luogo carico di storia, che ancora pu testimoniare la memoria singolare
della vicenda di un uomo nel cui spirito prevalse il deisiderio
di DioÓ e che stato innegalbilmente il maestro e il
protettore di San Nilo.
á
La grancia di San Fantino
La grancia di San Fantino che per vicende
varie rimasta annessa alla badia di San Giovanni a Piro fino al 1587, si
sviluppata attorno alla chiesetta e al monastero, occupando un vasto territorio
agricolo sulla sponda destra del vallone del Rivellese che interessava anche le
localit Castellara, Oliva, Verdesca, Stregara dove
si apprezzano ancora ruderi di fabbricati e di pertinenze della stessa antica
grancia. Questa area a forte vocazione agricola,
ospitava anche il percorso della strada che partendo dal Monte Grottillone portava allĠantica baia di Sapri mostrando
lungo il corridoio fortificato una serie di monoliti di grandi interesse e
suggestione.
AllĠinterno e ai margini della stessa sono
stati rinvenuti occasionalmente reperti e testimonianze che attestano la
presenza nei luoghi dei Lucani nel V secolo a.C., compresi i resti di unĠantica
fattoria.
á Antico
ponte e i Balzi della Rotonda
In corrispondenza dei ruderi ancora presente
un bellissimo e ardito ponte di pietra, che scavalcando il torrente Rivellese,
permette di raggiungere i monti sulla sua sinistra, destinata al pascolo. Nella
parte piuĠ alta del Monte Rotonda corrono i Balzi di
sopra, una parete continua di roccia caratterizzata oltre che da fenomeni di
erosione dalla presenza di dolomia e che nella sua parte terminale verso Est,
sĠinnesta su un passaggio/riparo detto Grottalonga.
Questo di antichissima frequentazione da parte dei pastori e dei loro armenti,
consente di aggirare un prominente sperone roccioso e di accedere allĠarea
montana della Mancosa e della Cerasia.
Nella parte piuĠ
bassa del monte Rotonda corrono nella stessa direzione dei Balzi di sopra, i Balzi
di sotto, una vera e propria falesia con pareti di dolomia alte e variamente
colorate, a causa della profonda erosione che ha riguardato anche le marne
argillose e le calcareniti intruse. Lo spettacolo da
solo merita una visita!.
Per quanto mi riguarda di questa formazione
dĠora in poi, in omaggio a mio figlio che mi segue nelle mie avventure, parler
come della Òfalesia di FrancescoÓ.
CONCLUSIONI
Il racconto che avevo in mente di scrivere
terminato. SenzĠaltro presenta aspetti discutibili e non scientificamente
dimostrati. Quindi sar oggetto di critiche e di
contestazioni. Bene, perch finalmente giunto il
tempo di coinvolgere nella storia dei nostri territori, i suoi abitanti,
abbandonando atteggiamenti e preclusioni elitari,
aprendosi al contributo di conoscenza che chiunque potr dare attraverso
racconti di famiglia, esperienze personali, lettura di memorie e di altri scritti
oggi non piuĠ in circolazione magari provenienti da archivii privati. EĠ auspicabile che questi ultimi si
aprano alla conoscenza dei piuĠ promuovendo anche con
lĠausilio di enti pubblici e/o associazioni la riproduzione e la pubblicazione
dei documenti posseduti.
LĠesempio stato offerto dallĠamministrazione
del comune di Lagonegro che nel 2006 ha dato alle stampe il manoscritto del
magnifico dottore Alessandro Falcone, dal titolo
ÒDelle notizie con discorsi, istorie e riflessioni della citt di LagonegroÓ
sulla base della trascrizione operata da Carlo Calza del manoscritto che nel
suo nucleo principale puoĠ farsi risalire allĠanno
1730.
Questo testo, oltre ad essere un ottimo
esempio di divulgazione, bench la lingua italiana
usata sia molto datata e non consente una scorrevole lettura, contiene le prime
notizie intorno alla presenza di antiche rovine in Sapri, prima che il barone
di San Biase Giuseppe Anonini ne trattasse
diffusamente. Il Falcone, attribuisce queste rovine
alla presenza di un arsenale. Quello che lĠautore scrive al riguardo mina, per
alla base, unĠaltra leggenda popolare che parla dellĠesistenza nellĠarea di
Sapri di un grosso e fiorente centro abitato, di nome Avenia fondato dagli Etruschi, in epoca imprecisata.
ÒEssendovi lĠArsenale, si pu giudicar esser
stato luogo di Velia a cui stava soggetto e
subordinato, siccome lĠ hann congetturato, e fattone
giudizio molti valentuomini, i quali a me lĠhanno insinuato, riflettendo che si
poteva chiamare Arsenale di Velia, Villa di Velia, o lĠera attribuita altra
qualit che dimostrava per esser luogo di Velia, che poscia tra le caligini del
tempo scorso, essendosi perduto quel primiero vocabolo, rimastoli
il dimostrativo, quello idiotismo ave fatto correre per positivo, e da ci la
tradizione, questa dalli uni posteri allĠaltri, falsa si tramandato di esser
in quel luogo lĠantica Velia, la quale anche oggi corrottamente i naturali del
luogo dicono AveniaÓ.
La conferma di questa tradizione che correva
(e corre) tra i naturali del luogo da qualche secolo, la troviamo in un atto
notarile del 1695, redatto dal notaio Domenico Magliano (gi richiamato a
proposito dei lavori di consolidamento e di ampliamento della chiesetta di San
Fantino) che, abbandonando il rigore formale, si lascia andare con la seguente
annotazione: ÒStimandosi che tale edificio sia stato
costruito in tempo dellĠopulenza dellĠantica citt di VeliaÓ che egli stesso
ubica nel Golfo di Sapri.
Non bisogna dimenticare che Velia nel 272 a.C.
era diventata alleata dei Romani, con pari dignit.
Infatti, determinate
fu lĠapporto delle sue navi durante la prima guerra punica (264-241 a.C.)
combattuta a fianco dei Romani, a cui i Velini parteciparono come socii navales, cio alla pari dei
cittadini Romani con il compito di fornire armamenti e per la manutenzione
delle navi. Compiti che, insieme al controllo della costa, svolsero anche
durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.).
La presenza di Velia e dei suoi arsenali
nellĠarea di Sapri non deve quindi assolutamente meravigliare. Tale presenza nel
Golfo stata anche documentata attraverso il fortuito ritrovamento, qualche
decennio fa, proprio a Policastro, di una serie di mattoni cotti (plinti) di
Velia che hanno suscitato lĠinteresse per il loro gran numero, per la tipica
forma e la presenza dei bolli tutti con caratteri greci risalenti al IV secolo
a.C.
APPENDICE FOTOGRAFICA