C'era una volta,

in epoca tarda -eneolitica,

un villaggio megalitico sul

monte Grottillone a Torraca,

con un approdo fortificato

sull'antica baia di Sapri (?)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Come sa bene chi mi conosce, non sono uno strorico di formazione accademica e scientifica, ma sono un appassionato di storia locale e, sopratutto, un raccontastorie che mette insieme i risultati delle ricerche ufficiali e le antiche memorie per ÒcucireÓ un racconto, una narrazione che possa reggere e che non si discosti dalla veritˆ dei fatti accertati.

Pur non avendo una reputazione scientifica da difendere, cerco di essere cauto e di rispettare la cosiddetta veritˆ storica dei fatti, quando questi siano stati accertati in maniera incontrovertibile. Formulo ipotesi e supposizioni solo quando vi  discordanza di opinioni tra gli esperti o non si  in presenza di alcune opinioni.

Fino ad oggi, i destinatari di queste mie storie non scritte sono stati i miei familiari e qualche amico che mi ha fatto piacere accompagnare in visita al Castello e nei posti piuĠ significativi ed interessanti nel territorio di Torraca.

Questa volta ho deciso di affidare ad un opuscolo stampato, non destinato alla vendita e illustrato da una serie di foto, la piuĠ recente narrazione che mi  stata suggerita dallĠavvenuta individuazione di un sito megalitico sul Monte Grottillone e sulle colline calcaree che sorgono ad est del paese.

In questo breve racconto – destinato al solito circolo di familiari ed amici – ho voluto sottolineare quelle che a mio parere ne sono le ricadute sul piano della storia locale, oltre allĠopportunitˆ di far conoscere, a livello nazionale, Torraca ed il suo territorio a supporto della recente iniziativa avviata con il Ò Cammino di San NiloÓ ideato e gestito dallĠAssociazione Gazania.

Cos“ il racconto si articolerˆ in due parti:

á    La prima di carattere storico, incentrata sullĠavvenuta individuazione del sito e sulle sue ricadute in merito alle vicende riferite a Sapri e a Scidro;

á    La seconda di carattere propositivo, finalizzata alla migliore conoscenza di questo passato appena scoperto, attraverso lĠeliminazione di alcuni inconvenienti riferibili a ÒCammino di San NiloÓ, che  stato individuato insieme a i suoi camminatori come un ottimo veicolo di informazione e pubblicitˆ.

 

PRIMA PARTE: RACCONTO STORICO

1.Individuazione del sito megalitico sul Monte Grottillone di Torraca.

Occorre necessariamente partire dagli studi condotti da Antonio Capano e Pasquale Fernando Giuliani Mazzei che i due autori hanno diffuso come ipotesi, attraverso la pubblicazione a stampa, nel 2019 del saggio intitolato:

IL SITO MEGALITICO PRESSO TORRACA

Le coeve e successive testimonianze storiche ed archeologiche nel territorio di Sapri e Golfo di Policastro

(Tardo Eneolitico – Inizio etˆ del Bronzo – Alto Medioevo III- II millennio a.C. – X sec. d.C.)

 

 

Per una immediata comprensione di tali ricerche, riporto una breve sintesi del loro contenuto elaborata dallo stesso Giuliani Mazzei con alcune mie integrazioni, avendo preso parte a tali attivitˆ, dopo avere indirizzato gli autori nei luoghi.

LĠinsediamento di origine eneolitica sulla terrazza calcarea di Monte Grottillone, nel comune di Torraca, per la sua tipologia muraria e e le antiche testimonianze storiche ed archeologiche rilevate nei dintorni, sembra risalire allĠinizio della Etˆ del Bronzo (III millennio a.C.), cio sembra di origine pelasgica.

Sorge sul quadrivio tra:

-     La via di costa di Sapri verso il Vallo di Diano, attraverso il passo della Colla del Cocuzzo (percorso che nei tempi antichi seguiva, a partire dal mare, la direttrice Timpone – Mucchie, vallone Giuliani, Rivellese, Cancero, Starsa;

-     La via diretta dallĠantico porto di Policastro ( fiume Bussento, mar Tirreno) verso la Basilicata (Lagonegrese allargato, conca del fiume Noce, valle del Sinni, fino al mar Ionio.

 

La tecnica edilizia ed il profilo architettonico dei monoliti sagomati di roccia calcarea e connessi tra loro con lĠincastro poligonale  quella della sezione Aurea che prevede una progettazione. Questo grande insediamento di venti ettari  di origine eneolitica ed  costruito tra le contrade San Vito, Monte Grottillone, Starsa e Scifo, con unĠ altitudine che varia da 550 a 680 metri s.l.m.

La planimetria di questo insediamento rilevato da Antonio Capano e Pasquale Fernando Giuliani Mazzei (2019), fa ipotizzare che sia la unione di sei aree edificate tra il vallone del Molinello – Serritello, il vallone del Giardanasio ed il vallone del Cancero con i rispettivi corsi dĠacqua.

I ruderi di questo insediamento, sono conosciuti per la facile accessibilitˆ al pascolo e per la sua visibilitˆ su di un suolo scarso di vegetazione. LĠarea urbana  orientata ai quattro punti cardinali secondo il canone di Ippodamo di Mileto (N/NW, S/SE, E/NE, W/SW).

Su quel territorio irregolare ed altamente strategico sulla baia di Sapri, le mura erano ad angoli retti e ad incroci, protetti dai monti Cocuzzo e Serralonga ad Oriente, e dal monte dei Cordici ad Occidente, che separa la baia di Policastro a quella di Sapri.

LĠimportante quadrivio predispose quellĠintera terrazza calcarea al controllo militare, allo sviluppo in un grande centro abitato circoscritto da mura, nonch alla funzione di grande mercato marittimo, agricolo, artigianale, sulle coste Tirreniche Meridionali, a seguito della costruzione, nel punto piuĠ interno di quello che era lĠantica grande Baia di Sapri, di uno scalo fortificato, collegato allĠinsediamento collinare per mezzo di un corridoio altrettanto fortificato (lungo la direttrice Starsa, Cancero, Rivellese, Vallone Giuliani) e protetto da una cortina muraria e da una torre.

EĠverosimile che questĠinsediamento di origine tardo – eneolitica di Torraca si sia sviluppato in molti decenni o secoli che lĠarea piuĠ antica sia quella sul poggio della pista di Karting, circoscritta dalla prima cinta, munita del notevole ingresso settentrionale, sia di torri angolari. Il suolo irriguo di questa area centrale del monte Grottillone  con molta probabilitˆ il tetto di un lago, in una grande cavitˆ carsica, sondato negli anni Ġ80 per la ricerca del metano. LĠipotesi ulteriore  che perlomeno in etˆ tardo – eneolitico lo specchio del lago fosse scoperto cosiĠ come la sua emissione nel vicino torrente Molinello e che una delle cause dellĠabbandono di quel grande insediamento sia stato lĠabbassamento e la perdita del livello dellĠacqua o viceversa che lĠinterramento del lago sia stato conseguenziale allĠabbandono di quella grande area urbana.

Le cause della rovina di questo centro devono essere ricercate, oltre che in antiche catastrofi climatiche, nelle vicende storiche successive, legate al passaggio e alla presenza nellĠarea degli Enotri, dei Lucani, dei Romani e dopo nelle turbolenze che nel Medioevo hanno investito queste terre nellĠantica Lucania.

Ancora non si  proceduto ad alcuna identificazione certa con una delle cittˆ che le varie fonti storiche collocano nellĠarea, almeno fino allĠanno 1067 quando nella zona  stata registrata la presenza di un borgo collinare denominato ÒTurracaÓ e di uno scalo marittimo denominato ÒPortumÓ.  Comunque, quasi sottovoce in maniera sommessa,  stata avanzata lĠipotesi che il sito megalitico di Monte Grottilone e il suo porto fortificato, costituissero unĠ unica entitˆ urbana da identificarsi con lĠantica cittˆ arcaica, subcolonia dei Sibariti conosciuta come Skydros o Scidro, dove questi si rifugiavano, secondo il racconto di Erodoto dopo la distruzione della loro cittˆ avvenuta intorno al 510 a.C.

Dopo lĠincendio di Torraca nellĠagosto 1806, da parte delle truppe francesi del generale Massena, fu presa in considerazione, almeno in un primo momento, lĠipotesi di ricostruire lĠabitato proprio sulle colline di San Vito/ Monte Grottillone.

LĠidea fu subito accantonata per motivi affettivi e di orgoglio a favore della ricotruzione del paese ancora attorno al suo Castello/Fortezza.

Con molta probabilitˆ  stato da quel momento che  iniziata (ed  durata per tutto il secolo XIX) una vera e propria predazione del sito megalitico. Predazione che non ha riguardato il materiale litico ordinario da utilizzare per la ricostruzione e costruzione di muri e pareti: Questo era abbondante anche nelle vicinanze dellĠantico borgo. Sono state invece prelevate le pietre dĠintaglio, i manufatti litici e i suoi monoliti per trasformarli, magari sul posto, in archi, portali, piattebande, soglie, davanzali per finestra, mensole e reggimensole per balconi, scalini esterni e sedili, scalinate esterne, cantoni esterni, lastricati, pile (vasche di pietra) per le case palazzate ed in ogni tipo di ornia  per rifiniture e per lĠinserimento di motivi architettonici ed abbellimenti nelle nuove costruzioni e ricostruzioni.

Il saggio  stato recensito dallo studioso Felice Cesarino con un apposito articolo pubblicato nel marzo 2020 su ÒLĠeditoriale del CilentoÓ. La sua conclusione  stata la seguente:

ÒAlla luce di quanto sopra, nonostante quelle che a noi appaiono opinabili carenze, il saggio di Capano e Giuliani Mazzei possiede sufficienti titoli per meritare un posto onorevole nel panorama letterario sullĠargomento. Un lavoro che fornisce un contributo prezioso alla conoscenza, storica e geologica, della nostra contrada. Una terra miracolosamente incontaminata, risparmiata dalle ingiustizie del tempo e degli uominiÓ.

Purtroppo a causa anche delle vicende legate alla pandemia che non hanno consentito di avviare una serie di approfondimenti, dibattiti e incontri sullĠargomento, il saggio non ha avuto alcun seguito, pur contenendo elementi significativi per la comprensione anche delle origini dellĠinsediamento urbano di Sapri.

Mi riferisco ai tempi dellĠantica grande baia, quando la pianura costiera attuale era inesistente e il mare si spingeva profondamente verso le colline, giungendo alle pendici del Timpone, delle Mucchie con ramificazioni nellĠattuale vallone Giuliani (tratto terminale del torrente Rivellese) e nel vallone della Piazza (tratto terminale del fosso Stregara).

Situazione facilmente verificabile se si prendono in considarazione le formazioni geologiche del nostro territorio continentale e le variazioni che la linea di costa ha subito nel tempo, sulla base anche della recente versione della carta geologica ISPRA – Foglio 520 Sapri.

Si parla di circa 4000 anni fa.

 

2. Precendente inquadramento del territorio e ipotesi sulle origini di Sapri.

EĠ giunto il tempo di ribaltare il punto di vista corrente che continua ad inquadrare il territorio collinare e montuoso che si affaccia sul mare e le sue vicende storiche, restando con i piedi ben piantati sulla spiaggia di Sapri, costituita da una pianura alluvionale, inesistente fino a poco tempo fa parlando in termini geologici.

Non solo, ma va anche contrastata lĠabitudine a voler considerare tale territorio, limitato ed instabile , sempre e comunque, come il centro di tutte le vicende che hanno riguardato fin dallĠantichitˆ questa parte del Golfo di Policastro, pur presentando nella propria storia – cosiĠ come restituita dagli studiosi locali – un ÒbucoÓ di circa dodici secoli. CosiĠ quando non vengono rilevati segni evidenti, riferibili ad epoche precedenti il periodo romano, si fa ricorso al mito popolare ÒSapri, sĠapriĠ e poi periĠÓ significando che queste tracce sono da ricercare in fondo al mare o scavando profondamente nellĠattuale pianura costiera.

Altro mito che viene da tempo rincorso  anche quello delle origini greche di Sapri, suggerendone lĠidentificazione con lĠantica SCIDRO, qualificata come Òcolonia filo – sibaritaÓ sulla base di quanto Erodoto scrive nel libro VI delle storie allorch riferisce che i Sibariti, scampati alla distruzione della loro cittˆ da parte dei Crotoniati nel 510 a.C. si rifugiarono a Poseidonia, a Lao e a Scidro sul Mar Tirreno.

In veritˆ il Maiuri ed altri autori, sono dellĠavviso che SCIDRO sia stato un semplice scalo marittimo ed emporio commerciale. Quindi non una cittˆ strutturata urbanisticamente come le colonie greche sul Mar Ionio.

LĠelemento cardine (non dimostrato e comprovato scientificamente) di tale identificazione e lĠopinione che colloca lĠattuale cittadina di Sapri allo sbocco dellĠantica via carovaniera che da Siri portava a Pixunte. Via che, scendendo dallĠarea di San Costantino di Rivello, posta a oltre 600 metri s.l.m portava a Sapri e da qui procedeva lungo la costa per arrivare a Pixunte.

Quando  stata formulata questa ipotesi forse non si  tenuto conto del dislivello altimetrico che  da percorrere (nei due sensi di marcia) in uno spazio geografico ristretto;  stata trascurata la presenza di dirupi e dei corsi profondamente scavati del vallone del Franco e del vallone di San Costantino (rinforzato anche da quello della Freddosa).

Il Brizzi, contrariamente a quanto  stato ritenuto, non  un corso dĠacqua che scorre direttamente dairilievi montuosi, con una valle paragonabiile a quella del fiume Bussento:  una sorta di canale che raccoglie le acque di questi valloni e di quello del Rivellese/Giuliani che in tempi antichi sfociavano con tutto il loro carico di detriti, direttamente nel mare. Acque che – mano a mano che questo si  ritirato e che lĠarea della grande baia, rimasta in secca,  stata riempita dai detriti alluvionali trasportati che si sono sovrapposti ai depositi sabbiosi marini – sono state costrette a trovare comunque un percorso per giungere fino al mare.

Ci si  dimenticato che si parla di circa 3000 anni fa con una linea di costa che si spingeva verso le colline e con una pianura costiera molto ridotta, non idonea e non sufficiente ad ospitare un centro urbano articolato, con spazi dedicati allĠagricoltura, oltre al transito di una via carovaniera, trafficata nei due sensi da lunghi convogli di asini e di muli con carichi anche molto preziosi.

Vale la pena di ricordare che Sibari esercitava un ruolo cruciale nel commercio dei beni e delle merci preziose che, provenienti da Mileto nellĠAsia Minore, avevano come destinatari finali soprattutto le ricche cittˆ etrusche della Campania. Questo commercio che si svolgeva in diretta concorrenza con i calcidesi di Reggio e Messina avveniva attraverso le vie istmiche interne che portavano dal mare Ionio al Mar Tirreno. Vie che dopo la sconfitta di Siris includevano anche la carovaniera Siris – Pixunte, magari con lĠimpiego come scorta della terribile cavelleria Sibarita.

Allora considerata la preziositˆ dei carichi e il fatto che anche la linea di costa da punta Fortino a Policastro era molto piuĠ avanzata verso lĠinterno, fino ai piedi delle colline costiere che si presentavano come veri e propri promontori, dovrebbe essere spiegato il senso logico pratico e strategico di questo percorso/passeggiata tra Scidro e Pixunte lungo il mare con continui saliscendi.

Per giunta questo sarebbe dovuto avvenire in unĠ area che pur occupata dagli alleati Enotri, era soggetta ed esposta alle incursioni dal mare oltre che dei rivali Calcidesi anche dei Tirreni e dei Fenici. Questi pur in rapporti commerciali con le colonie greche, ricorrendone lĠoccasione non si sarebbero astenuti dal compiere atti di pirateria ai danni delle carovane greche.

In alternativa a quella innanzi richiamata sulle origini greche,  stata affacciata anche lĠipotesi di Òinserire Sapri in un contesto Enotrio – laddove giˆ Palinuro, Molpa e Pixous (odierna Policastro) sono state segnalate fra le localitˆ indigene costiere , per quanto riguarda il solo lato Campano del Golfo di Policastro.

Niente di pi pertinente, ma secondo quando rappresentato in sede di descrizione del sito megalitico del Monte Grottillone occorre forse andare piuĠ indietro nel tempo prima dei Greci e degli Enotri spostandosi per˜ verso il territorio di Torraca, anzich seguire la via per San Costantino di Rivello che ha avuto attraverso lĠarea della Carnale, la sua rilevanza come zona di passaggio soprattutto in epoca romana. I Romani – giunti piuĠ tardi e valenti costruttori di strade e di ponti – avevano lĠesigenza militare di controllare il territorio interno, occupato dagli indomiti Lucani, non erano interessati al commercio tra il Mar Ionio e il Golfo di Policastro.

La presenza nellĠarea di sentieri che collegavano tra di loro i vari punti di insediamento degli Enotri, prima, e dei Lucani dopo, non fa di questi un a testimonianza certa della preesistenza di antiche carovaniere provenienti dal Mar Ionio.

Sfugge allĠosservazione dei pi la continuitˆ e quindi il carattere unitario del territorio occupata da Torraca, in collina e da Sapri sulla costa, con un andamento dolcemente digradante dai monti a mare. Tale andamento ha da sempre favorito lĠaccesso diretto dalla costa di Sapri al Vallo di Diano e allĠarea occidentale dellĠattuale Basilicata, attraverso i passi della Colla del Monte Cocuzzo e del Fortino. Tra le strade borboniche ancora segnalate nel 1822, figurava il collegamento tra Cervaro (Fortino) – Torraca – Sapri che ricalcava il pi antico sentiero che in epoca romana collegava trasversalmente la via Popilia e la via costiera Tirrenica da Vicus Mendiculeos alla baia antica di Sapri. Non ci si deve meravigliare che tale carattere unitario ne abbia determinato giˆ in epoca antichissima lĠ appartenenza ad un unico centro di riferimento, registrando di volta in volta la preminenza ora dellĠarea costiera (epoca romana) ora dellĠarea collinare (Alto Medioevo), anche  in rapporto allĠassestamento idrogeologico dellĠarea marina e alla sua frequentazione.

A partire dallĠAlto Medioevo e fino agli inizi del 1800, (quando Sapri fu costituita in comune autonomo), tale carattere unitario, che ne aveva determinato lĠappartenenza alla contea di Marsico assegnata nel 1150 da Ruggero II a Silvestro di Ragusa  stata accompagnata dalla dipendenza del porto di Sapri dai feudatari di Torraca.

Non  stata sufficientemente esplorata, invece, lĠipotesi sulle origini di Sapri che  riportata alla pagina 25 del libro di Angelo Guzzo ÒSapri – Storia e LeggendaÓ. Qui si legge testualmente: ÒSecondo alcuni storici, Sapri sarebbe stata cittˆ antichissima non molto distante dal fiume Bussento, di origine pelasgica. I pelasgi, configurati in vari rami, sperduti nel mito, fecero capo agli Ioni o Iavoni. Il loro nome significa antichi pellegrini. Alla perenne ricerca di terre ubertose e luoghi naturalmente protetti, essi girovagarono per tutto il Mediterraneo (2000 a.C.). DĠindole pacifica, lavoratori instancabili e abilissimi commercianti, portarono ovunque civiltˆ e benessere. Il loro raggio di azione si estese dal Cilento agli Appennini settentrionali ed esercitarono fra i tanti mestrieri anche quelli di fornaciari e pentolieri.

Durante una delle loro migrazioni, attratti dalla naturale comoditˆ del sito e dalla singolare bellezza del paesaggio, si sarebbero fermati verso il 1800 a.C. nei pressi dellĠodierna Sapri, fondandovi un grande villaggio cinto di solide mura e di numerose fortificazioni.Ó

Questo racconto che si rifˆ allo storico Nicola Corcia  stato liquidato con un commento che non ammette ripensamenti:

ÒTali origini che si confondono con il mito e la leggenda non sono state per˜ provate e, probabilmente non lo saranno maiÓ.

 

3. Nuovo inquadramento del territorio.

La pubblicazione del saggio di Capano e di Giuliani Mazzei, che non si sono affatto mossi sulla base del racconto del Corcia, dopo gli opportuni approfondimenti, potrebbe avviare la revisione di questo giudizio. Tale saggio infatti, permette di riscrivere un nuovo racconto, semplicemente aggiungendo in quello giˆ riportato dal Guzzo a Ònei pressi di SapriÓ queste parole Òin localitˆ Monte Grottillone nel territorio di Torraca su una terrazza calcarea che si affaccia sul mareÓ e tenendo presente che i Pelasgi erano uno dei popoli del mare che si muovevano per il Mediterraneo e quindi con la necessitˆ di un approdo sicuro e fortificato allĠinterno dellĠantica baia di Sapri (loro punto di arrivo) collegato attraverso un corridoio altrettanto fortificato con il sito collinare, dove potevano disporre degli spazi necessari per impiantare un grande villaggio cinto di solide mura e fortificazioni.

Al di lˆ di ogni riferimento diretto ai Pelasgi e ai popoli del mare che potrebbe far scivolare lĠintera vicenda, ancora una volta nelle nebbie del mito lĠimportanza del saggio  stata quella di aver individuato, fino a prova contraria, lĠesistenza di un sito megalitico risalente al III-II millennio a.C. Sito senzĠaltro opera di uomini o meglio di un popolo che approdato in questa particolare area del Golfo di Policastro, si  stanziato tra il Monte Grottillone e il mare e qui  rimasto per un periodo inprecisato, prima dei Lucani, dei Greci e degli Enotri. Nel prosieguo i termini ÒPelasgiÓ o ÒpelasgicoÓ che continuer˜ ad utilizzare, vanno intesi in senso convenzionale, per indicare questo popolo non conosciuto.

Questo grande villaggio, situato allĠincrocio di una notevole viabilitˆ, (entrambi di origine ÒpelasgicaÓ) per effetto di movimenti e di sovrapposizioni non necessariamente sempre cruenti, legati alle vicende migratorie dei Pelasgi stessi e degli Enotri, hanno visto arrivare dal Sud questa nuova popolazione in fasi successive. Popolazione, originariamente approdata e stanziatasi sulle sponde del Mar Ionio, che si  spinta verso lĠinterno, a seguito delle varie primavere sacre che ne hanno caratterizzato la diffusione nelle regioni continentali fin dallĠinizio e quindi a seguito del definitivo abbandono della pianura costiera del Mar Ionio, sotto la spinta dellĠarrivo nellĠarea dei coloni Greci.

In questi movimenti gli Enotri, hanno seguito vari itinerari che poi sono diventati le vie istmiche che hanno collegato il mar Ionio con Il mar Tirreno per soddisfare le esigenze commerciali delle stesse colonie greche affermatesi sulle coste Ioniche.

Nel sito megalitico e nella sua proiezione sul mare, gli Enotri, conosciuti come Òabitatori delle rocceÓ hanno trovato forse lĠhabitat naturale per il loro insediamento, in sostituzione e/o in aggiunta ai Pelasgi.

EĠ con gli Enotri, diffusisi anche in tutto il Golfo di Policastro, che i greci delle colonie ioniche (Siris- Sibari) hanno dovuto fare i conti, essendo diventato enotrio il territorio che avrebbero dovuto attraversare con le loro carovane. Non solo, ma la necessit˜ di disporre di servizi logistici, per la sosta lo stoccaggio delle merci, per lĠ accesso alle fonti di acqua dolce e ad approdi sicuri sul mare, ha reso necessario il ricorso ad intese ed accordi con gli Enotri, da parte delle colonie di Siris, prima e di Sibari, poi.

Tra le vie carovaniere, quella che interessava la nostra area  stata individuata nella Siris – Pixunte di cui  certo il percorso fino al territorio di Rivello (antica Sirinos) e piuĠ precisamente fino allĠarea del Rotale/San Costantino.

Per quanto giˆ evidenziato in precedenza, non pu˜ essere accettata lĠipotesi che questa via possa aver seguito nel tratto finale lĠarco della costa lambita allĠepoca dal mare, ma piuttosto  plausibile che il percorso, ad una quota piuĠ alta abbia seguito lĠarco delle colline litoranee del golfo.

A questa conclusione sono giunto attraverso le informazioni e le notizie acquisite dalla lettura delle pubblicazioni degli amici Domenico di Lascio, Amedeo La Greca e Luca Esposito. Ho anche utilizzato le antiche memorie di transumanze e di racconti di viaggio, riferitimi da Agostino e Giuseppe Giudice, da Nicola Antonucci e Pietro Bruno. Viaggi compiuti con partenza dal sito megalitico attraverso la valle del Noce fino ed oltre i passi di Pecorone (Seluci, valle del Sinni) del Galdo (Conca di Castelluccio, Rotonda e Laino), oltre che in direzione Sud verso Trecchina, le frazioni montane di Maratea e la fiumara di Castrocucco (area dellĠantica Blanda). Alcuni di questi sentieri coincidono con gli antichi percorsi che i monaci italo-greci hanno seguito, a suo tempo, per raggiungere dal Mercurion, le terre dei Principi.

In questo modo sono giunto ad ipotizzare che la via carovaniera Siris – Pixunte, dal Piano del Rotale, per sentieri ancora praticabili, si avviasse nel suo percorso verso il mare, nel territorio al confine tra gli attuali comuni di Rivello, Lagonegro, Tortorella, Casaletto Spartano, che segna anche il confine tra la Campania e la Basilicata. Da qui proseguendo lungo le pendici meridionali del sistema montuoso di Serralonga, sempre nel territorio di Tortorella, ai margini delle localitˆ Cerasia e Tempa di Fele di Torraca, scendeva progressivamente di quota fino allĠarea di Monte San Vito – Starsa. Quindi la via dal sistema montuoso -  attraverso una sottile striscia di terra, quasi una sorta di ponte naturale che fa da spartiacque tra il bacino del Gerdanasio e il bacino del Cancero/Rivellese – si appoggiava al sistema collinare dellĠentroterra del Golfo di Policastro, intercettando anche la via che dallĠantica baia di Sapri portava al Vallo di Diano e alle contrade dellĠattuale Basilicata occidentale attraverso i passi della Colla del Monte Cocuzzo e del Fortino.

Particolare piuĠ interessante la via giungeva al grande villaggio situato sul Monte Grottillone di Torraca che finiva col costituire un punto strategicamente rilevante per la sosta e gli scambi commerciali che accompagnavano qualsivoglia carovana. Questo sito, abbastanza grande, poteva disporre, oltre che di un ottimo sistema di difesa, di tutti i servizi logistici necessari, costituiendo a sua volta il punto di raccolta per il commercio dei prodotti della pesca e del sale provenienti dal proprio scalo sul mare. A questo porto potevano anche essere avviati direttamente per lĠimbarco,  merci e prodotti specifici, che trasportati dalle carovane provenienti dal mar Ionio avevano giˆ ben definiti destinzioni e destinatari. Allo stesso modo in senso contrario potevano giungere dallo stesso porto al sito prodotti e merci particolari provenienti da ben specifiche contrade, destinati ad essere trasportate nel Vallo di Diano o direttamente verso il mar Ionio.

Dal sito megalitico collinare la via carovaniera continuava verso ovest, appoggiandosi alle colline del Serritello e dei Carpini ancora nel territorio di Torraca. Raggiunta la contigua area di San Nicola/Vallina, il percorso rientrava nel territorio di Tortorella, attraversava parte del territorio di Vibonati, lambendo quello di Morigerati/Sicil“ (zone queste che portano tracce del successivo arrivo dei Lucani) per proseguire attraverso il territorio di Ispani e di Santa Marina fino a Pixunte, posta tra il fiume Bussento e il Mar Tirreno. Ancora oggi questĠarea collinare  attraversata da un reticolo di strade, non solo in direzione Est/Ovest, ma anche in direzione Nord/Sud, che favoriva notevolmente gli scambi e i rapporti commerciali anche con le popolazioni indigene.

 Fino allĠanno scorso, un allevatore di Sicil“ conduceva la propria mandria ai pascoli estivi di Latronico (alta Valle del Sinni) seguendo proprio il percorso di questa via carovaniera in direzione Est.

Si pu˜ facilmente affermare che il sito di Monte Grottillone e il suo porto fortificato, divenunti Enotri abbiano svolto un ruolo strategico nei commerci delle colonie greche. Non ci si deve meravigliare quindi che il nostro territorio abbia potuto ospitare profughi Sibariti, giunti fin qui via terra, dopo la distruzione della loro cittˆ del 510 a.C., e dopo che questa in precedenza avesse di molto ridimensionata la presenza e lĠattivitˆ nellĠarea Tirrenica della rivale Siris.

Questo ruolo di intermediazione commerciale, secondo la rappresentazione delineatane  durata fino a quando hanno fatto irruzione i Lucani tra il VI e il V secolo a.C. Il risultato di questa invasione  stato quello di interrompere i traffici con il mar Ionio anche se i nuovi arrivati ne hanno utilizzato per scopi di conquista le stesse vie carovaniere.

A subire gli effetti immediati di questa irruzione  stato senzĠaltro il sito collinare sul Monte Grottillone anche perch i Lucani avevano un modo diverso di occupare, presidiare e sfruttare il territorio ricorrendo a piccoli insediamenti sparsi, su base tribale intervallati da spazi dedicati allĠagricoltura e allĠallevamento, e con distinte necropoli. Questi insediamenti sparsi erano comunque organizzati attorno ad un ÒarxÓ (recinto fortificato) destinato ad ospitare i servizi, le cerimonie sacre, le funzioni e le manifestazioni di natura politica e sociale.

Questa tipologia di insediamento nellĠarea  stata confermata da rinvenimenti fortuiti che hanno messo in evidenza una serie di insediamenti lucani, distribuiti a corolla sulle colline interne del Golfo di Policastro. Per il nostro territorio basta ricordare le localitˆ di San Martino, Seminario, San Giocondo, Cordici, San Fantino, Stregara e Pallarete tutte situate su sentieri che portano verso il mare.

Quindi i Lucani che continuavano a mantenere la loro struttura dei touta, nel loro movimento da Nord a Sud e dallĠinterno alla costa non hanno preso in considerazione per il loro insediamento il grande villaggio sul Monte Grottillone, che conseguentemente, ha subito un lento declino. Essi si sono sistemati sulle colline che si affacciavano sul porto fortificato, individuando il proprio ÒarxÓ forse sui rilievi calcarei immediamente sottostanti al Monte Grottillone, ad unĠaltitudine di 450 metri s.l.m. dove piuĠ tardi  sorto lĠantico borgo fortificato di Torraca. Si ritiene che la seconda parte del toponimo ÒTorracaÓ possa essere la trasformazione di arx  (propriamente luogo forte per natura e/o per opera dellĠuomo, quindi rocca forte) e che per metatesi con successiva assimilazione della ÒXÓ abbia dato alla finale del toponimo odierno in ÒACAÓ.

La nuova situazione venutasi a determinare con lĠarrivo dei Lucani nella nostra area ha imposto alle colonie greche del mar Ionio, lĠesigenza di svolgere i propri traffici e commerci seguendo la via marittima. A riguardo si ricorda lĠarrivo nel Golfo di Policastro di Micito di Reggio e il suo approdo allĠantica Policastro. In questo cambiamento di strategia, non  da escludere che il porto fortificato sullĠantica baia di Sapri abbia iniziato a svolgere un ruolo autonomo anche per effetto dellĠarrivo dei profughi Sibariti.

Questa condizione di autonomia  durata almeno fino a quando i Lucani non hanno deciso di occupare gli approdi costieri sul mar Tirreno da Blanda a Laos. Stessa sorte ha subito anche il porto sullĠantica baia di Sapri essendosi resi conto, i Lucani, dopo il passaggio di Alessandro il Molosso (che aveva attaccato e sconfitto i Sanniti a Poseidonia, prendendoli alle spalle) del rischio e del pericolo di lasciare punti di approdo non direttamente presidiati.

Da quanto sopra affermato, anche se ne viene messa in dubbio lĠorigine greca, non discende affatto che si voglia negare per Sapri unĠorigine piuĠ antica; anzi viene confermata lĠappartenenza sia del porto fortificato sia del sito di Monte Grottillone ad un unico centro di origine ÒPelasgicaÓ, diventato

Enotrio. Ed  questo centro che va identificato come lĠantica Scidro.

Questa ipotesi non confligge con la compresenza nellĠarea dei due toponimi Scidro e Sapri, argomento che sembra abbia meritato lĠattenzione di alcuni studiosi. EĠmia opinione che per interpretare i toponimi antichi, soprattutto se riferiti al periodo preromano, prelucano e pregreco, sia opportuno riferirsi alle lingue in uso in quel periodo specifico,se possibile. Cos“ ho preferito lĠinterpretazione formulata da Felice Crippa in ordine al significato di Sapri, inteso come luogo che sta Òal di fuori dellĠacqua o davanti allĠacquaÓ cio semplicemente Òun luogo affacciato sul mareÓ. Interpretazione che pure lo stesso autore ha chiarito che si tratta di unĠinterpretazione Ò arditaÓ o magari eccessivamente suggestiva basata per˜ sui termini della lingua mediterranea che ha preceduto sia il greco che il latino.

Questo perch il Crippa non ha condiviso la derivazione del toponimo Sapri dallĠaggettivo greco ÒSaprosÓ (putrido e marcio) con riferimento alla presenza di paludi, suggerita dallo studioso Battisti nel suo testo ÒPenombre nella toponomastica pre romana del CilentoÓ. Derivazione che  tuttĠoogi condivisa dai piuĠ per due ordini di considerazione:

á    Il derivato latino ÒSaprusÓ ha analogo significato;

á    La presenza di paludi nella zona di Sapri fino al XX secolo.

In veritˆ lo stesso Battisti considera toponimo preitaliano Sapri, Òche ha certamente una storia pre romanaÓ, anche se poi afferma che Òse Sapri  un nome antico  chiaro che non vi pu˜ corrispondere lĠantica Skydros di Erotodo, a meno che Scidros non sia la traduzione del nome in Lucano o risalga ad un periodo pre greco o pre romanoÓ. Per quando detto in precedenza bisogna riportarsi indietro nel tempo proprio ad epoche antecedenti il periodo lucano e greco. A questo punto vale la pena ricordare quanto ha scritto G.Racioppi nel volume I della ÒStoria dei popoli della Lucania e della Basilicata pubblicata nel 1889.

Qui si pu˜ leggere testualmente:

ÒPer le antichissime e giˆ da remoti tempi scomparse cittˆ pre Lucane di Scidro e Lagaria, questa si pu˜ riattaccare al sanscrito ÒurbsÓ e Scidro al tema Òcidra, cavitas o caverna ed avrebbe lĠorigine stessa e il valore di tanti odierni nomi di odierni paesi, Grotta, Grottaglia e similiÓ.

Se si accetta questo significato di Scidro si deve tenere presente che il centro del sito megalitico, o meglio, del villaggio collinare  situato sul Monte Grottillone al di sopra dei Grottoni, ai margini di una cavitˆ perilacustri delimitata ad est del torrente Cancero, profondamente scavato nelle rocce calcaree con pareti molto alte. Questo torrente confluisce nel Rivellese con un percorso altrettando incassato nel terreno roccioso, che sfociava un tempo nellĠantica baia di Sapri. Qui sorgeva il porto fortificato (il confine sul mare di Scidro che quindi era un luogo affacciato sul mare.

Se la derivazione linguistica  questa, i due toponimi Scidro e Sapri, potevano benissimo coesistere: il primo per indicare lĠintera area collinare e marina fortificata; il secondo solo il suo confine fortificato affacciato sul mare che ha assunto rilevanza autonoma dopo il declino del villaggio collinare a seguito dellĠirruzione nellĠarea dei Lucani. Situazione questa che ha portato progressivamente allĠabbandono del toponimo Scidro se riferita allĠintera area,allĠaffermazione del toponimo Sapri se riferito solo allĠantica baia.

Questa ipotesi di inquadramento e e dĠidentificazione del territorio, trova conferma nella presenza nellĠarea – tra il Monte Grottillone e lĠantica linea di costa – di due distinte indicazioni toponomastiche significative, anche se non piuĠ presenti nella cartografia attuale. Una si riferiva al territorio del comune di Sapri, piuĠ precisamente alla zona posta alle spaalle del rione Marinella con direzione verso il Timpone. Infatti, attraverso alcuni atti di nascita del 1882 si rileva qui la presenza di una strada denominata ÒStrada Scidro dei Sibari (ti)Ó circostanza questa gi˜ evidenziata senza alcun risultato dallĠamico Ferruccio Policicchio, studioso attento e documentato nella sua opera ÒIl decennio francese nel Golfo di PolicastroÓ.

La seconda si riferisce al territorio del comune di Torraca, nellĠarea che si colloca tra il sito megalitico e lĠantica baia di Sapri, lungo il corridoio fortificato che li collegava. Tale indicazione riguarda la chiesetta di San Fantino ed  contenuta in un documento normanno del 1097. Con tale documento il signore del luogo Odobon Marchisius, imparentato con Roberto il Guiscardo, concedeva al miles Sergio di Bonati di costruire un monastero, anche nei pressi di quello che veniva indicato come ÒTemplum Sancti Patris Nostris Phantini de ScidoÓ. EĠ fuor di dubbio che con Scido si sia voluto indicare nel documento la localitˆ col suo antico nome, ancora usato allĠepoca e ben idoneo ad individuare il templum di riferimento, prima che sĠimponesse nellĠuso corrente, successivamente il toponimo di San Fantino. Tale circostanza  stata rilevata anche dallo studioso Francesco Attanasio che, comunque, nel riferirsi a tale localitˆ insiste nel parlare Òdi territorio SapreseÓ. Anche questa annotazione  caduta nel nulla e la ricerca di un riferimento e di un collegamento con toponimi locali della Scidro di Erotodo  stata diversamente indirizzata.

Forse  meglio lasciare agli esperti la discussione sulle identificazioni del sito collinare e del suo approdo sul mare con una delle cittˆ che le varie fonti storiche collocano nellĠarea.

Il problema piuĠ importante ed urgente ritengo sia quello di confermare (o smentire) con ulteriore approfondimenti e studi sul campo quanto affermato dagli autori Capano e Giuliani Mazzei in erito allĠesistanza di un sito megalitico risalente al III millennio a.C.

Da qui la formula interrogativa usata nel titolo che vuole essere un invito rivolto agli stessi autori e agli studiosi in materia a compiere ulteriori ricerche, proprio perch lĠindividuazione del sito  avvenuta sulla base di elementi oggettivi, rilevati in loco e non attraverso il racconto riferito da un autore di secoli passati. Le parentesi usate per racchiudere il punto interrogativo vogliono evidenziare che non si tratta di un dubbio soggettivo ma di un esigenza oggettiva, concreta e ineludibile ai fini della ricostuzione e dellĠinquadramento delle vicende storiche del territorio attualmente occupato da Torraca e Sapri.

 

PARTE SECONDA: PROPOSTE

Per quanto riguarda il mio ruolo di raccontastorie, ritengo che allo stato dei fatti, salvo smentite, sia quello di diffondere il piuĠ possibile quanto individuato nellĠarea del Monte Grottillone e nella sua proiezione sul mare, attraverso il vallone del Cancero/Rivellese, le localitˆ San Fantino, Stregara, Verdesca e le propaggini meridionali del Monte Rotonda e del Monte Mancosa.

Ho sempre ritenuto che un ottimo veicolo di pubblicitˆ e di informazione al riguardo potesse essere il Cammino di San Nilo e i suoi camminatori, fin da quando il punto di partenza inizialmente era stato indicato proprio nella cappella di San Fantino.

Da segnalare che questa chiesetta non si trova nel borgo, lungo il percorso della tappa (oggi seconda) Torraca – Casaletto Spartano. Essa di proprietˆ privata sorge solitaria nellĠomonima localitˆ, in un terreno altrettando privato a sud dellĠabitato di Torraca, ai piedi del Monte Castellaro e lungo il vallone del Rivellese. Da qui la conseguenza che i camminatori giunti direttamente a Torraca e che non abbiano trovato sistemazione nellĠagriturismo vicino alla chiesetta, si avviino direttamente lungo il percorso della seconda tappa saltando a pi pari la visita al tempio (o meglio ai suoi ruderi).

Oltre a tale inconveniente  da segnalare che la parte iniziale della tappa Torraca – Casaletto Spartano, avvia i camminatori lungo una strada asfaltata, in forte salita, fino alla pista di Karting che si trova proprio ai margini del sito megalitico del Monte Grottillone.

LĠesigenza di eliminare questi inconvenienti, unita alla possibilitˆ di avviare finalmente una campagna di informazione e di pubblicitˆ del sito, mi ha suggerito alcune iniziative da sottoporre agli organizzatori del Cammino di San Nilo e allĠamministrazione comunale di Torraca.

 

2.1 PRIMA PROPOSTA

La prima di queste iniziative  stata quella di individuare un possibile percorso in sostituzione di quello proposto su strada asfaltata. Tale attivitˆ  stata favorita dallĠesistenza di un bel sentiero che parte dal centro di Torraca, alle spalle dellĠInfopoint, per arrivare ai Grottoni di Monte Grottillone, alla quota di 522 metri s.l.m. con un percorso agevole dopo aver attraversato gli Elci di Cristo, su cui si apre la grotta artificiale molto particolare, denominata Dionisia.

I Grottoni sono formazioni molto interessanti e visitabili in tranquillitˆ come si pu˜ rilevare dalla descrizione che segue ricavata dalle notizie riportate da Giuliani Mazzei.

Al di sotto della sommitˆ del monte Grottillone, alla quota di 520 metri s.l.m, nei pressi del Valloncello del Molinello si trovano i ÒGrottoniÓ, censiti nel catasto delle grotte della Campania a NĦ CP908.

Questi sono una geoformazione carsica di roccia calcarea, composta da piccole sale quadrangolari, simili a celle, certamente sagomate dallĠintervento umano ed il cui prospetto esterno  formato dalla roccia viva, resa perpendicolare al suolo ed inframezzata da ingressi quadrangolari che accedono a quegli ambienti, perlopiuĠ comunicanti tra loro, per mezzo di ingressi esterni e di qualche lunetta ricavata nelle pareti rocciose per illuminarli il piuĠ possibile con luce naturale proveniente dagli ingressi esterni: sulle pareti e sul basso soffitto roccioso, non si notano segni di fuliggine.

LĠimpianto si estende perlopiuĠ in lunghezza sulla leggera pendenza naturale del suolo roccioso ed  attraversato longitudinalmente da tre condotti cavati, sagomati e levigati nella pietra viva. Alcune caratteristiche strutturali e la presenza di specifici elementi che appaiono essere residui di canalizzazione idrica, fanno pensare ad una sorta di inalveamento di una sorgente e/o di acque percolanti.

In alcuni ambienti di quellĠimpianto ad alveare si rileva lĠuso di calce fredda/fango talvolta mista a brecciolino, oltre alla presenza di picconature.

LĠultimo gruppo di ambienti che formano la sezione piuĠ elevata di quellĠimpianto  preceduto allĠesterno da ruderi pseudo – isodomi di un piccolo fabbricato monovano. In questa area di recente,  stata rinvenuta da me da mio figlio Francesco, da Vincenzo, Giuseppe e Tiziano, una sorta di pietra – scultura (cm 35 x cm 21, con uno spessore da 5 a 7 cm) che evoca le sembianze di quello che sembra un animale marino: una delle estremitˆ appare modellata a moĠ di testa di pesce.

Secondo lo studioso Felice Cesarino che non si pronuncia sullĠantichitˆ del reperto, potrebbe trattarsi sulla base di un esame superficiale di una pietra istoriata a profilo animale, una tipologia molto rara almeno in Italia.

Si ipotizza che questi ambienti, naturali e sagomati, siano stati anche, in epoca piuĠ tarda, siti eremitici e che abbiano costituito in epoca precedente, unĠarea sacra legata al culto delle acque.

Tuttavia, la fitta rete dellĠacquedotto urbico dellĠarea centrale dellĠinsediamento di Monte Grottillone, sovrastante rende probabile che lĠimpianto idraulico dei Grottoni, ne canalizzasse le acque carsiche e reflue nel Valloncello del Molinello.

Con lĠaiuto dei miei amici allevatori, Carminuccio e Giuseppe, ho individuato e segnato un altro breve sentiero che da i Grottoni, alzandosi di quota e passando nei pressi della Grava di Torraca (altra curiositˆ naturalistica), giunge in breve tempo al centro del sito megalitico, ricco di monoliti, tumuli di pietra e dalla presenza di altre formazioni litiche, con un panorama fantastico sul mare e con una vista che va dalla baia di Sapri a Punta degli Infreschi. Da qui, attraversata la Piana del Ferro, sĠintercetta il percorso del Cammino di San Nilo a 50 metri dalla pista di Karting.

La presenza del toponimo Piana del Ferro come pure quello di Piana dei Pallottini, riferita proprio alla pista di Karting, pu˜ richiamare alla memoria le competenze che gli Enotri avevano raggiunto nella metallurgia del ferro.

Il tempo di percorrenza di questo nuovo percorso  identico a quello del tratto da sostituire fatto salvo il tempo che i camminatori vorranno dedicare alla visita dei Grottoni e del sito.

Sono anche queste caratteristiche unitamente alla presenza di rilevanti fenomeni di carsismo di superficie, che mi portano a suggerire allĠaministrazione comunale di Torraca, lĠavvio di uno specifico studio per lĠistituzione di un piccolo parco, anche con finalitˆ didattiche che copra lĠintera area del Monte Grottillone e delle collinee calcaree collegate. Mi rendo conto che lo sforzo organizzativo sia abbastanza impegnativo ed oneroso, anche perch, con lĠauslio di Organizzazioni come il CAI bisognerebbe individuare e segnare sul terreno un grande sentiero ad anello con altri sentieri trasversali con idonea cartellonistica.

 

2.2  SECONDA PROPOSTA

La seconda iniziativa messa in campo  mirata invece a rendere, comunque, dĠinteresse una visita ed una sosta alla chiesetta di San Fantino e allĠarea circostante, da parte di tutti i camminatori e non solo.

Tale iniziativa deve coinvolgere necessariamente lĠamministraziione comunale dovendosi stringere accordi ed intese con i privati, liberare e risistemare alcuni sentieri, collocare unaĠadeguata segnaletica e, se possibile, realzizzare unĠarea di sosta idonea al pernottamento in tenda.

Lo scopo  quello di creare un percorso circolare per lĠaccesso ai luoghi e per la visita di tutte le emergenze storiche e naturalistiche presenti nellĠarea. Tale percorso potrebbe essere denominato ÒPasseggiata nelle terre di San Fantino di Scido e dintorniÓ.

LĠaccesso a questo percorso dovrebbe essere garantito non solo da Torraca, ma anche da Sapri attraverso il ripristino degli antichi sentieri della Verdesca e della Stregara, a destra del Vallone del Rivellese. NellĠoccasione potrebbe essere verificata anche la possibilitˆ di ripristinare alla sinistra dello stesso vallone, dopo attraversamento dellĠantico ponte di pietra, a partire dai Balzi di sotto del Monte Rotonda,il collegamento con la localitˆ Foresta che porta direttamenet verso lĠarea e il ponte romano della Carnale nonch alla sovrastante area di San Costantino di Rivello.

Ritengo oppotuno illustrare brevemente le caratteristiche e i punti piuĠ interssanti di questa camminata partendo dalla chiesetta di San Fantino, per la cui descrizione mi sevir˜ a piene mani delle annotazioni che, separatamente, i professoni Wilma Fittipaldi e Amedeo La Greca, hanno dedicato al piccolo tempio rispettivamente nei volumi: ÒLa presenza Bizantina nella Lucania e nel Meridione dĠItalia – Arte, storie e religiositˆÓ e ÒTemi per una storia di TorracaÓ.

á    Chiesetta di San Fantino

La chiesetta  dedicata come si sa, a San Fantino lĠEgumeno, morto  e sepolto nelle vicinanze nel 965, ed  stata costruita nellĠXI secolo con orientamento verso oriente.

DellĠedificio  degna di nota proprio la parete orientale che nella parte interna ospitava il presbiterio, dove si trova lĠabside affiancata da due absdiole a moĠ di nicchia sollevate dal piano di calpestio. AllĠesterno della stessa parete colpiscono i particolari architettonici e decorativi... anche se consistenti in pochi elementi superstiti dellĠoriginario apparato, perch provano la continuitˆ di uno stile riscontrabile in struttre bizantine della Calabria e della Campania. La successione ritmica dei motivi geometrici consiste in una fascia di laterizi disposti a spina di pesce ottenuta disponendo i mattoni di taglio in maniara da creare un motivo decorativo (spesso a triangolo isoscele) si ripete a intervalli regolari ed  riempito da ciottoli di torrente.

Con ogni probabilitˆ San Fantino aveva trovato rifugio nei pressi di una necropoli greco – lucana abbandonata, tantĠ che in occasione delĠĠimpianto di una vigna nelle vicinanze della chiesa furono rinvenuti  vasi in frammenti di epoca lucana. Ci˜ viene anche suggerito dal fatto che gran parte del frontespizio e gli angoli dei muri dellĠedificio sono formati da lastroni di pietra, molto simili a quelle propri delle tombe greco – lucane a fossa.

In veritˆ lĠinserzione nella fabbrica originaria di questi elementi litici – come pure la trasformazione della forma originaria che era quella classica, quadrata ad aula greca -   stata realizzata alla fine del 1600, quando la cappella venne ampliata e restaurata su iniziativa del prete Michele Brandaleone con il consenso del vescovo dellĠepoca.

Nel documento notarile che fu redatto dal notaio Domenico Magliano  detto con chiarezza che vennero ricostruiti per intero Ò I quattro cantoni ed il frontespizio con pietra dĠintaglio et anco un arco sopra lĠaltare medesimamente di pietre scalpellateÓ.

Si tratta proprio di quei lastroni di pietra locale evidenziati che sono spessi allĠincirca 20 centimentri con unĠaltezza di 50/60 centimetri e lunghi alcuni fino a 2 metri che potrebbero venire dallo smantellamento di tombe di tipo greco – lucano oppure da qualche altro edificio antico preesistente dove si era rifugiato San Fantino. Non  da escludere nemmeno che essendo stati eseguiti i lavori alla fine del 1600, questi lastroni possano pervenire come materiale di risulta da quel monastero che il miles Sergio di Bonati era stato autorizzato a costruire nei pressi della chiesetta.

Tutti questi elementi architettonici che  possibile ancora leggere sui muri diritti, ancora in piedi, privi della copertura di un tetto da tempo crollato, Òconcorrono a dare a quei miseri ma nobili ruderi quel senso di antica suggestione che si conviene ad un luogo carico di storia, che ancora pu˜ testimoniare la memoria singolare della vicenda di un uomo nel cui spirito prevalse il deisiderio di DioÓ e che  stato innegalbilmente il maestro e il protettore di San Nilo.

 

á    La grancia di San Fantino

La grancia di San Fantino che per vicende varie  rimasta annessa alla badia di San Giovanni a Piro fino al 1587, si  sviluppata attorno alla chiesetta e al monastero, occupando un vasto territorio agricolo sulla sponda destra del vallone del Rivellese che interessava anche le localitˆ Castellara, Oliva, Verdesca, Stregara dove si apprezzano ancora ruderi di fabbricati e di pertinenze della stessa antica grancia. Questa area a forte vocazione agricola, ospitava anche il percorso della strada che partendo dal Monte Grottillone portava allĠantica baia di Sapri mostrando lungo il corridoio fortificato una serie di monoliti di grandi interesse e suggestione.

AllĠinterno e ai margini della stessa sono stati rinvenuti occasionalmente reperti e testimonianze che attestano la presenza nei luoghi dei Lucani nel V secolo a.C., compresi i resti di unĠantica fattoria.

 

á    Antico ponte e i Balzi della Rotonda

In corrispondenza dei ruderi  ancora presente un bellissimo e ardito ponte di pietra, che scavalcando il torrente Rivellese, permette di raggiungere i monti sulla sua sinistra, destinata al pascolo. Nella parte piuĠ alta del Monte Rotonda corrono i Balzi di sopra, una parete continua di roccia caratterizzata oltre che da fenomeni di erosione dalla presenza di dolomia e che nella sua parte terminale verso Est, sĠinnesta su un passaggio/riparo detto Grottalonga. Questo di antichissima frequentazione da parte dei pastori e dei loro armenti, consente di aggirare un prominente sperone roccioso e di accedere allĠarea montana della Mancosa e della Cerasia.

Nella parte piuĠ bassa del monte Rotonda corrono nella stessa direzione dei Balzi di sopra, i Balzi di sotto, una vera e propria falesia con pareti di dolomia alte e variamente colorate, a causa della profonda erosione che ha riguardato anche le marne argillose e le calcareniti intruse. Lo spettacolo da solo merita una visita!.

Per quanto mi riguarda di questa formazione dĠora in poi, in omaggio a mio figlio che mi segue nelle mie avventure, parler˜ come della Òfalesia di FrancescoÓ.

 

CONCLUSIONI

Il racconto che avevo in mente di scrivere  terminato. SenzĠaltro presenta aspetti discutibili e non scientificamente dimostrati. Quindi sarˆ oggetto di critiche e di contestazioni. Bene, perch  finalmente giunto il tempo di coinvolgere nella storia dei nostri territori, i suoi abitanti, abbandonando atteggiamenti e preclusioni elitari, aprendosi al contributo di conoscenza che chiunque potrˆ dare attraverso racconti di famiglia, esperienze personali, lettura di memorie e di altri scritti oggi non piuĠ in circolazione magari provenienti da archivii privati. EĠ auspicabile che questi ultimi si aprano alla conoscenza dei piuĠ promuovendo anche con lĠausilio di enti pubblici e/o associazioni la riproduzione e la pubblicazione dei documenti posseduti.

LĠesempio  stato offerto dallĠamministrazione del comune di Lagonegro che nel 2006 ha dato alle stampe il manoscritto del magnifico dottore Alessandro Falcone, dal titolo ÒDelle notizie con discorsi, istorie e riflessioni della cittˆ di LagonegroÓ sulla base della trascrizione operata da Carlo Calza del manoscritto che nel suo nucleo principale puoĠ farsi risalire allĠanno 1730.

Questo testo, oltre ad essere un ottimo esempio di divulgazione, bench la lingua italiana usata sia molto datata e non consente una scorrevole lettura, contiene le prime notizie intorno alla presenza di antiche rovine in Sapri, prima che il barone di San Biase Giuseppe Anonini ne trattasse diffusamente. Il Falcone, attribuisce queste rovine alla presenza di un arsenale. Quello che lĠautore scrive al riguardo mina, per˜ alla base, unĠaltra leggenda popolare che parla dellĠesistenza nellĠarea di Sapri di un grosso e fiorente centro abitato, di nome Avenia fondato dagli Etruschi, in epoca imprecisata.

ÒEssendovi lĠArsenale, si pu˜ giudicar esser stato luogo di Velia a cui stava soggetto e subordinato, siccome lĠ hann congetturato, e fattone giudizio molti valentuomini, i quali a me lĠhanno insinuato, riflettendo che si poteva chiamare Arsenale di Velia, Villa di Velia, o lĠera attribuita altra qualitˆ che dimostrava per esser luogo di Velia, che poscia tra le caligini del tempo scorso, essendosi perduto quel primiero vocabolo, rimastoli il dimostrativo, quello idiotismo ave fatto correre per positivo, e da ci˜ la tradizione, questa dalli uni posteri allĠaltri, falsa si  tramandato di esser in quel luogo lĠantica Velia, la quale anche oggi corrottamente i naturali del luogo dicono AveniaÓ.

La conferma di questa tradizione che correva (e corre) tra i naturali del luogo da qualche secolo, la troviamo in un atto notarile del 1695, redatto dal notaio Domenico Magliano (giˆ richiamato a proposito dei lavori di consolidamento e di ampliamento della chiesetta di San Fantino) che, abbandonando il rigore formale, si lascia andare con la seguente annotazione: ÒStimandosi che tale edificio sia stato costruito in tempo dellĠopulenza dellĠantica cittˆ di VeliaÓ che egli stesso ubica nel Golfo di Sapri.

Non bisogna dimenticare che Velia nel 272 a.C. era diventata alleata dei Romani, con pari dignitˆ.

Infatti, determinate fu lĠapporto delle sue navi durante la prima guerra punica (264-241 a.C.) combattuta a fianco dei Romani, a cui i Velini parteciparono come socii navales, cio alla pari dei cittadini Romani con il compito di fornire armamenti e per la manutenzione delle navi. Compiti che, insieme al controllo della costa, svolsero anche durante la seconda guerra punica (218-202 a.C.).

La presenza di Velia e dei suoi arsenali nellĠarea di Sapri non deve quindi assolutamente meravigliare. Tale presenza nel Golfo  stata anche documentata attraverso il fortuito ritrovamento, qualche decennio fa, proprio a Policastro, di una serie di mattoni cotti (plinti) di Velia che hanno suscitato lĠinteresse per il loro gran numero, per la tipica forma e la presenza dei bolli tutti con caratteri greci risalenti al IV secolo a.C.

 

APPENDICE FOTOGRAFICA