30. Se tutto il Sud
     
Se tutto il Sud diventasse 
imbandita tavola conviviale 
rallegrata
dall’ospitalità di un sorriso 
che è il cibo che più
vale.
Se tutto il Sud brillasse 
per efficienza e decoro,
serietà e allegria, 
rispetto reciproco e urbana pulizia.
Se tutto il Sud accogliesse in
sé,
in allegra baraonda e gioiosa
sbornia, 
l’operosità del kibbutz
israeliano e la precisione svizzera, 
l’ardore della Spagna, le
innovazioni della California.
Se tutto il Sud coniugasse 
l’estro dei musicisti e dei
saltimbanchi 
al rigore dei calvinisti
intransigenti. 
Se tutto il Sud fosse spianata
aperta 
alla produzione agricola,
all’innovazione tecnologica, 
alla creatività e alla
fruizione artistica.
Se tutto il Sud, forte della sua
millenaria esperienza 
di ostacoli e picchi erti,
dialogasse rinfrancando i popoli stanchi,
temperasse l’irruenza dei
più inesperti.
Se tutto il Sud, il meglio delle
genti che tiene dentro, 
rigettasse gli usurpatori da cui
è militarmente occupato, 
i parassiti che lo infestano, i
malavitosi che lo intossicano, 
i furbi che lo zavorrano, i
lamentosi che lo offendono,
i troppi disgraziati che lo
snaturano.
Se tutto il Sud riconquistasse il
suo posto 
di primo tra i popoli e le
civiltà, 
il suo compito storico di libro
dall’esperienza lunga, 
dello scambio pacifico e della
conoscenza, 
di spazio dedicato agli incontri e
agli incroci, 
alla varietà e alla ricchezza
del meticciato, 
alla sperimentazione e al godimento
del meglio 
che l’umanità produce e
offre.
Se tutto il Sud – da Trapani a
Siracusa, da Palermo a Reggio, 
da Bari a Napoli, da Cosenza e
Matera e Caserta – 
all’unisono risplendesse della
luce e vibrasse 
dell’energia creativa di cui
mille e mille volte 
si è mostrato capace.
Se tutto il Sud riprendesse a
sognare 
ponendosi in contatto con ciò
che di meglio è stato, 
per riproporsi più forte e
temprato,
pronto ad osare, a innamorarsi
ancora e amare.
Se tutto il Sud riuscisse
prodigiosamente a liberare 
le sue risorse ed energie, 
oggi frustrate e andate a male.
Se tutto il Sud, intessuto di nomi
così poeticamente accesi - 
Palinuro e Maratea, Lauria e
Amantea, 
Ravello e Scopello, Otranto e
Ostuni, 
Ustica e Taormina, Carloforte e
Tortolì, 
che mettono insieme asprezze sarde e
ardori siculi, 
calabri aguzzi e campani sinuosi,
per non parlar del meglio, 
gli umili e rocciosi lucani e i
pugliesi levantini -, 
rifacesse contatto vero
con le tradizioni gloriose degli
avi: 
fenici ed egizi, normanni e
saraceni, 
greci, spagnoli e francesi, ma solo
i più bravi. 
Se tutto il Sud riempisse le sue
piazze 
di giovani come i palermitani di No Pizzo 
eredi di Falcone e Borsellino, 
i calabresi di Ora uccideteci tutti 
uniti nel ricordo di Fortugno; 
e se anche quei ragazzotti di
Castelvolturno 
decidessero di mollare 
alla camorra sul muso un pugno 
e mano nella mano 
cantassero in coro con Miriam Makeba
e leggessero a turno 
le parole di Roberto Saviano...