Per la Croce di Largo
Monastero.
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Le croci poste davanti ai
due monasteri di Maratea non furono costruite per un semplice scopo
ornamentale. Avevano invece una funzione ben definita: delimitare le competenze
del frate "sindaco" del monastero da quelle del parroco della citt. Tutte le processioni, i riti al di fuori delle
mura della chiesa e le benedizioni dovevano svolgersi
esclusivamente allinterno del proprio ambito di competenza.
Alla base delle croci si
trovano incisi due simboli. Da un lato, lo stemma della Citt di Maratea
— con le tre torri, laquila bicipite e le onde del mare — indicava
linizio del territorio parrocchiale. Dallaltro, il simbolo del monastero,
composto nel nostro caso da due braccia incrociate sormontate da un ramoscello
dulivo, definiva larea riservata ai frati.
curioso notare come la
delimitazione tra i territori dei monasteri e quello della parrocchia sia
avvenuta ben prima di quella tra le due parrocchie cittadine. Solo nel 1819,
infatti, i parroci Carmine Iannini,
al Castello, e Giuseppe DAlitti, nel Borgo, giunsero
a un accordo per stabilire confini precisi tra le rispettive giurisdizioni. Per
circa novantanni, contrasti e ambiguit territoriali avevano alimentato
tensioni, il pi celebre dei quali fu lepisodio in cui, durante la festa di
maggio, la statua di San Biagio venne velata di rosso
nel passaggio da una parrocchia allaltra.
Probabilmente, la maggiore
facilit nel definire i confini con i monasteri rispetto a quelli tra le
parrocchie fu dovuta al minor potere contrattuale che le comunit monastiche
potevano esercitare, specie nei confronti della parrocchia di Maratea
inferiore.
Il monastero dei Minori
Osservanti fu costruito a partire dal XVI secolo
attorno alla chiesa di Santa Maria della Misericordia — nota a tutti noi
come chiesa del Rosario — datata al 1575. Inizialmente destinato ai
Domenicani, che per lo rifiutarono, il complesso fu assegnato successivamente ai Minori Osservanti.
Per quasi due secoli, i
rapporti tra il monastero e la parrocchia si mantennero apparentemente sereni,
o almeno non ci sono pervenute testimonianze di controversie significative.
A partire dalla met del XVIII secolo, tuttavia, la
convivenza tra la citt di Maratea, la parrocchia di Santa Maria Maggiore e il
convento dei Minori Osservanti fu segnata da attriti ricorrenti di natura
giuridica, amministrativa e religiosa. La documentazione conservata presso
lArchivio di Stato di Napoli evidenzia come la gestione delle risorse
materiali, il controllo del territorio e l'influenza sulle pratiche religiose
fossero oggetto di costanti negoziazioni, e talvolta
di aperto conflitto.
Un episodio particolarmente
rilevante si verific nel 1775, quando lUniversit di Maratea inferiore
inoltr istanze formali per la soppressione dei
conventi dei Minori Osservanti e dei Paolotti. Le autorit civiche accusavano i
religiosi di trattenere le rendite provenienti dai beni conventuali per fini
privati, sottraendole al bene collettivo. Oltre al risentimento economico,
emergeva anche una proposta concreta: utilizzare quelle stesse strutture per
istituire due scuole comunali, da allocare nei conventi soppressi.
Nello stesso anno, si
registr una reazione contraria: parte della popolazione, compresi alcuni
religiosi, si mobilit per difendere i conventi, sottolineando
il loro ruolo centrale nella vita spirituale, educativa e caritatevole della
comunit. Il convento dei Minori Osservanti veniva
descritto come un presidio indispensabile per il bene pubblico. Questo dualismo
mostra la complessit del giudizio collettivo sul ruolo dei conventi: da un
lato simboli di potere e concentrazione di ricchezze, dallaltro punti di riferimento identitari e sociali.
Il convento dei Minori,
tuttavia, non si confrontava solo con lautorit civile. Una lunga disputa lo
vide contrapposto anche al convento dei Cappuccini,
che lo accusava di esercitare attivit di questua nella vicina Trecchina,
violando un presunto diritto esclusivo.
In numerosi casi
documentati tra il 1760 e il 1790, emergono inoltre frizioni tra la parrocchia di
Santa Maria Maggiore e i conventi. Tali tensioni si manifestavano in forma di
ricorsi e atti ufficiali riguardanti la nomina dei
parroci, la gestione delle cappelle, il diritto di processione e
lamministrazione dei beni religiosi. Il convento dei Minori Osservanti, in
particolare, si ritrovava frequentemente al centro di queste controversie, in
competizione non solo con la parrocchia ma anche con le confraternite,
soprattutto per lautorit spirituale e la gestione delle offerte e rendite
legate alla devozione popolare.
in questo clima di
rivalit e di equilibrio instabile tra le parti che fu eretta la croce del
monastero. Liscrizione emersa con chiarezza durante lultimo restauro riporta
la data del 1781. Sopra i numeri si legge una sigla misteriosa: A. E. R. S. Lanonimo incisore ha cos consegnato ai posteri un
enigma. La formula non compare in altre epigrafi note; se non ci fosse la E.,
si potrebbe pensare alla classica espressione latina Anno Reparatae
Salutis, spesso usata al posto di A.D. per
indicare gli anni dopo Cristo. SI potrebbe ipotizzare che lincisore volesse
scrivere Anno aetatis Reparatae
Salutis, ma abbia commesso un errore morfologico,
omettendo la a iniziale di aetatis. Unipotesi
affascinante, ma decisamente improbabile.
Molto pi chiara risulta invece la sigla sovrastante: I. H. S. V., acronimo
del celebre motto In Hoc Signo Vinces,
che secondo la leggenda apparve a Costantino alla vigilia della battaglia di
Ponte Milvio. Il segno, naturalmente, era la Croce stessa: quella che
limperatore avrebbe fatto incidere sugli scudi dei suoi soldati e che i
costruttori del nostro monumento hanno scelto come elemento culminante.
Oggi, quella croce non
solo una testimonianza in pietra: il simbolo di unepoca in cui la religione,
la politica e la vita quotidiana si intrecciavano
profondamente. Ripristinarla nel suo contesto
originario significa restituire voce a una memoria che non parla soltanto del
passato, ma del modo in cui una comunit ha definito se stessa attraverso i suoi
spazi, i suoi riti e i suoi segni.