Dopo lĠUnitˆ dĠItalia il Sud si  arricchito o impoverito?

DI LUCA LUONGO á PUBBLICATO 19/05/2020 á AGGIORNATO 21/05/2020

A centosessantĠanni dalla Spedizione dei Mille, le conseguenze  dellĠunificazione della Penisola e lĠimpatto che ebbe nelle province dellĠex Regno delle Due Sicilie sono oggetto di discussione.

Mentre la storiografia scientifica, forte di una lunga tradizione di studi e dei contributi dei meridionalisti, ne ha da tempo descritto eventi e portata, una corrente molto in voga su internet connota tutto il Risorgimento con tinte decisamente negative.

Ma, in particolare, il Sud dĠItalia in questo secolo e mezzo  diventato pi ricco o pi povero?

Gli studi economici del 2011.

In primo luogo, un chiarimento. Ci si pu˜ arricchire e impoverire di molte cose: infrastrutture, servizi, istituzioni, peso demografico. Ognuna di queste cose, cos“ come la loro somma, va a costituire lĠeconomia, in senso largo, di un territorio. Ma la maggior parte delle cose sopra enumerate sono difficilmente quantificabili in dati numerici.

Per quel che ci interessa qui, considereremo principalmente lĠaspetto del Prodotto Interno Lordo (PIL). ÇLa fortuna del PIL sta, – ha sintetizzato calzantemente un economista – nella sua natura: sintetizza, infatti, in un unico numero, il valore della produzione di tutti i soggetti economicamente attivi di un paese (imprese, amministrazione pubblica, istituzioni non profit e famiglie) durante un certo lasso di tempo. Un numero tanto semplice quanto affascinante, nato  creato per essere calcolato rapidamente, sulla base di dati facilmente disponibili, senza basi nella teoria economica ma frutto di convenzioni efficaci e congegnate per assolvere una funzione di orientamento alle istituzioni preposte al governo dellĠeconomia [É]. Un numero capace di stabilire il successo di una nazioneÈ.

Negli anni precedenti al 2011, per lĠapprossimarsi del 150esimo anniversario dellĠUnitˆ, si sono moltiplicati gli studi sul progresso economico italiano e sul divario tra Nord e Sud. Tra i pi interessanti, quello di Vittorio Daniele e Paolo Malanima.

Due velocitˆ diverse.

Con un lungo lavoro, Daniele e Malanima hanno trovato i numeri dellĠandamento dellĠeconomia nazionale nei centocinquantĠanni di vita unitaria italiana. Complessivamente, il PIL-pro capite dellĠItalia del 2011 era di tredici volte superiore a quello dellĠItalia del 1861.

Dati di Daniele & Malanima; fonte: Wikipedia.it

Le due linee rappresentano lĠandamento della crescita del Nord (viola) e del Sud (celeste). Come si vede, entrambi fanno registrare, nel lungo periodo, una grande crescita. Ma lĠentitˆ di questa crescita  nettamente diversa.

Mentre lĠeconomia globale italiana aumenta il suo PIL-pro capite di tredici volte, quella ristretta del Sud lo fa di sole dieci volte. Un aumento deludente rispetto al Nord (cresciuto di sedici volte), ma pur sempre cospicuo e notevole in stesso, oltrechŽ in linea con la media europea dello stesso periodo.

Riassumendo i dati e volendo dare una prima risposta alla domanda del titolo, dopo lĠUnitˆ dĠItalia il trend dellĠeconomia del Mezzogiorno  stato segnato da un lento, sebbene pressochŽ costante, miglioramento rispetto al Mezzogiorno del passato ma da una altrettante costante perdita di terreno rispetto al Settentrione contemporaneo.

Nel 1861 il prodotto di valore aggiunto pro capite di media dellĠItalia settentrionale era del 16% superiore a quello del Sud, nel 2009, nonostante il valore assoluto di entrambi i dati sia notevolmente cresciuto, il divario era del 43% sempre a favore del Nord.

Da qui il paradosso: il Sud si  molto arricchito in stesso ma, ciononostante, il distacco dal Nord  aumentato.

Il meridionalismo italiano e quello europeo.

Al secolo e mezzo di Unitˆ  corrisposto un altrettanto lungo  periodo di dibattito e discussione storica, politica e statistica sul dualismo italiano: il meridionalismo. Abbandonate le retoriche stantie o espressamente razziste della seconda metˆ dellĠOttocento, con Giustino Fortunato (1848-1932) e Francesco Saverio Nitti (1868-1953) – entrambi nostri corregionali – gli studi hanno assunto una forma e toccato temi divenuti tradizionali: la smitizzazione della presunta naturale ricchezza del Mezzogiorno, castigato unicamente dallĠindolenza dei suoi governanti (un mito che, occorre dire, ogni tanto si riaffaccia anche localmente), lĠuso dei dati statistici per misurare e comprendere i vari problemi, lĠanalisi delle politiche nazionali nel e sul Mezzogiorno rispetto alle corrispettive al Nord e cos“ via.

Tutto il dibattito sĠ incentrato sul perchŽ il  Mezzogiorno non abbia corso veloce quanto il Settentrione. Eppure, una prospettiva interessante per il felice prosieguo degli studi potrebbe essere il ribaltamento della prospettiva: perchŽ il Nord ha corso di pi?

Questo cambio di ottica, specie in chiave europea, mi pare molto affascinante, anche perchŽ la prospettiva continentale permette di scorgere in Europa diverse questioni meridionali.

Il PIL-pro capite nelle regioni dĠEuropa, fonte: Treccani.it

Fatta eccezione per grandi agglomerati urbani che cambiano le carte in tavola del quadro economico (come Parigi in Francia, Bilbao e Madrid in Spagna, Dublino ed Edimburgo nellĠarcipelago britannico, le capitali scandinave e Atene in Grecia), la ricchezza europea ruota intorno allĠasse Londra-Amsterdam-Francoforte-Monaco di Baviera-Milano. La lontananza o la vicinanza da questĠasse  determinante per la prosperita di una regione europea.

La crescita strepitosa dellĠItalia settentrionale  iniziata intorno al 1890, cio in coincidenza con la seconda industralizzazione europea, la quale, come  noto, incise nello sviluppo delle medesime regioni che oggi sono le pi ricche del continente. Nonostante anche il Mezzogiorno dĠItalia abbia avuto in quel medesimo periodo insediamenti industriali di rilievo (il nuovo arsenale di Napoli, i cantieri navali di Palermo e Taranto, lĠArmstrong di Pozzuoli ecc.), fu proprio la maggiore e pi capillare trasformazione industriale a determinare lĠaccellerazione decisiva dellĠeconomia del Nord.

La vicinanza dellĠItalia settentrionale alle zone divenute le pi dinamiche dĠEuropa  stato un fattore fondamentale.

Tra lĠaltro, questo della prossimitˆ o lontananza dal cuore dinamico dellĠeconomia europea fu anche il fattore su cui per primo si concentr˜ la riflessione di un meridionalista ante-litteram, vissuto nei primi anni del XVII secolo: il cosentino Antonio Serra. Questi annover˜ tra le cause della povertˆ del Regno di Napoli Çil sito pessimo del regno [É] poichŽ estendendosi lĠItalia fuor della terra come un braccio fuori del corpo, che per questa causa  stata detta penisola, il regno  situato nella mano ed ultima parte di detto braccio, si che non torna comodo ad alcuno portar robe in esso per distribuirle in altri luoghi; e intanto  vero che il sito del regno per tal rispetto sia pessimo, che ad alcuno non bisogna mai passare per quello per andare ad altro paese, sia di qualsivoglia parte del mondo e voglia andare in qualsivoglia altra, se non vi vuol passare per suo gusto e allungare la strada, o che vi vada per negoziati proprj, per lo che non solo non  comodo negozj di portarvi robe per distribuirle in altri luoghi, ma  dĠincomodo e dannoÈ.

Allo stesso tempo, hanno inciso anche altri fattori. Ad esempio, la maggiore arretratezza strutturale che il Sud del 1861 ereditava dellĠepoca preunitaria: 128 km di ferrovie contro i quasi 2.000 km del Nord o lo spaventoso 91% di popolazione analfabeta contro il 59% delle regioni settentrionali.

Ma questi dati – a cui se ne potrebbero affiancare tanti altri – rendono ancor pi notevole il progresso economico del Mezzogiorno dopo lĠUnitˆ, che evidentemente partiva da molto pi indietro e, ciononostante, ha fatto pi strada (dal 1861 al 2011) di altre zone depresse del continente.

Il paradosso dellĠemigrazione.

Gran parte delle letture superficiali della questione merdionale agita il fenomeno dellĠemigrazione postunitaria come la prova provata dellĠarretramento economico delle regioni del Mezzogiorno dopo il 1861. In realtˆ, la cosa  molto pi complessa.

LĠemigrazione  senzĠaltro scatenata in nuce da un disagio economico, ma questo disagio non  necessariamente dovuto a una decrescita storica, ma anche a una imperfetta ripartizione della ricchezza zonale. Al dato medio, infatti, non corrisponde la distribuzione della ricchezza.

Il progresso economico inevitabilmente lascia indietro settori produttivi obsoleti, i quali espelgono lavoratori che il sistema non  pi capace di riassorbire.

Numero di emigranti dalle regioni italiane, fonte: Wikipedia.it

Per di pi, la grande emigrazione italiana ha coinvolto tutta la Penisola: anzi, la regione che in assoluto ha dato pi emigrati  stata il Veneto.

Per paradossale che possa sembrare, lĠaumento della ricchezza media di una nazione in via di sviluppo durante unĠepoca in cui lĠeconomia globale faceva avanzare a passi ancor pi grandi altre zone del mondo facilitava i movimenti migratori: gli espulsi dal sistema produttivo dellĠuna avevano quel minimo di risorse per spostarsi nel mercato delle altre.  DĠaltra parte,  ci˜ che viviamo anche oggi, in unĠItalia divenuta anche meta di immigrazione.

Letture.

Per chi volesse approfondire, oltre lo studio di Daniele e Malanima, consiglio la lettura del bel volume In ricchezza e in povertˆ, a cura di Giovanni Vecchi, che riassume e spiega con grande efficacia i dati statistici raccolti nel 2011.

 Luca Luongo

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