Per il sessantenario della Statua del Cristo Redentore
ANNULLO FILATELICO E CARTOLINA COMMEMORATIVA
di
Con Deliberazione di Giunta
n.80 in data 11/06/2025, avente ad oggetto :
"Sessantenario del
Cristo Redentore di Maratea. Indirizzo all'acquisto di prodotti e del servizio
filatelico presso Poste italiane s.p.a."
il Comune di Maratea ha approvato proposta, come motivata, per
annullo filatelico e cartolina commemorativa dell'evento, avvalendosi di Poste
italiane s.p.a. e stabilendo la data del prossimo 19
luglio per il relativo evento.
Sar unoccasione,
certamente non lunica, per opportunamente ricordare lanniversario della
monumentale statua, opera dello scultore Bruno Innocenti, al quale il Foglio
–Quotidiano (sito web), in data 28 maggio u.s., ha dedicato un
interessante articolo, di seguito trascritto:
Piccola Posta
Uno scultore e il suo
Redentore, pronto a volare nel cielo di Maratea.
28 mag
2025
L'autore del Cristo si
chiamava Bruno Innocenti. Fiorentino, figlio di un orafo e
allievo dell'Istituto statale d'Arte a Firenze. Un uomo mite e risoluto,
colto e affabile, solitario. Il suo studioso pi fedele, Marco Fagioli, ha
pubblicato un formidabile catalogo a lui dedicato. Le due figlie si impegnano a tener viva la bellezza che hanno ereditato.
Meravigliosa di scogliere
e spiagge, Maratea, la perla del Tirreno (uneco di Odessa) riserva due
sorprese a chi non la conosca ancora. La prima una tipica domanda da Risiko:
in che regione Maratea? In Basilicata, infatti, proprio
incuneata fra Campania e Calabria. Laltra la statua del Redentore, 22
metri (la seconda dopo il Sancarlone di Arona), 19
metri di apertura delle braccia, in cima al monte San Biagio, sul Castello, la
parte alta del paese. Costruita fra il 1963 e il 1965, la grande scultura
stata valorizzata negli ultimi anni, e una mostra curata nel 2022 dagli
studenti del locale Liceo artistico ne ha ricostruito
la storia. Nel primo dei bellissimi racconti di Ingeborg
Bachmann raccolti in Tre sentieri per il lago (Adelphi), scritto nel 1972,
Nadja, una esausta traduttrice simultanea, viaggia con
un accompagnatore doccasione fino a Maratea e resta schiacciata, terrificata,
al cospetto di quella statua gigantesca: Si stese sulla terra, le braccia
allargate, crocifissa su quella roccia, minacciosa, senza riuscire a
togliersela dalla testa. La voce pertinente di Wikipedia cita quel brano del
racconto, ma fa torto a Nadja e alla statua, sicch suggerirei al Comune e al
suo ufficio turistico di completare la voce, perch poi lei, ridiscesa, si
arrischia a riguardare su, quelle fantastiche, alte colline, perfino le rocce
di Maratea, anche quella pi alta, pi scoscesa e protesa verso il mare, e
lass la rivide, una figura piccola, visibile appena, con le braccia
spalancate, non inchiodata alla croce, ma pronta a
levarsi in un volo grandioso, destinata a volare in cielo o a precipitare
nellabisso.
A commissionare il
monumento era stato Stefano Rivetti, un industriale biellese attratto dalla
Cassa del Mezzogiorno e ancor pi innamorato del posto. Lautore del Cristo ci lavor per sei anni, si chiamava Bruno Innocenti,
fiorentino (1906-1986), figlio di un orafo, allievo prediletto di un famoso
scultore della generazione precedente, il pistoiese Libero Andreotti
(1875-1933) e suo successore allIstituto dArte, dove ebbe a sua volta allievi
illustri come Giuliano Vangi. LIstituto statale
dArte, oggi Liceo artistico, di Porta Romana, a Firenze, trattato a volte
come un parente povero dellAccademia di Belle Arti, attaccata questa, nel
cuore della citt, alla Galleria omonima che tiene il David e i Prigioni
– e il resto. A Porta Romana, dove simpara meglio a lavorare con le
mani, cՏ peraltro una grandiosa e preziosa gipsoteca, un museo dei musei. Da l sono venuti fuori Roberto Cavalli e Benito
Jacovitti, Galileo Chini e Sandro Chia Una felice circostanza famigliare mi
fece conoscere e amare Innocenti, uomo mite e risoluto, colto e affabile, e
solitario, che aveva sempre tenuto fra s e le mode una
distanza di sicurezza, o almeno di discrezione. Dallorigine paterna e dal suo
Istituto dArte aveva preso un attaccamento al mestiere, a un artigianato
scrupoloso e appassionato che gli faceva maneggiare mirabilmente gli oggetti
pi piccoli, gli smalti su rame, il bisquit, e i pi
monumentali, il marmo carrarino della memorabile
Erinni (1935), e ogni materiale, dai gessi alle terrecotte, stucco, bronzo,
pietra serena e, soprattutto negli ultimi anni, i legni duri, duttilmente
assecondati nelle loro inclinazioni naturali. E lintero
Redentore finale scalpellato a mano. E poi la pittura, e lininterrotto
piacere di disegnare.
Ora il
suo studioso pi fedele, Marco Fagioli, ha pubblicato un formidabile catalogo,
Bruno Innocenti. Statuario
del Novecento, Ain ed., che riproduce 500 sculture
in 368 pagine di grande formato. Alcune di queste opere ebbero un forte
risalto pubblico, come il grande gruppo di Apollo e le Muse (1933) per il
proscenio del Teatro Comunale e poi del Maggio. Fagioli rintraccia
le fonti letterarie, mitologiche e religiose, e ripercorre i rapporti stretti
che, sulla scorta di Andreotti e dellAntico Fattore, Innocenti tenne con i
letterati contemporanei, lamicizia con Vittorini, il sostegno a Montale nella
tenzone poetica con Quasimodo nel 1931 Innocenti fu specialmente ritrattista,
e devoto alla rappresentazione femminile. Musica, poesia e letteratura
accompagnarono il suo lavoro, come mostrano certi titoli: Ritratto a memoria
duna fanciulla in fiore intravista un giorno CՏ un
suo nudo di donna giovane, seduta, del 1935, Madanda,
gi nella collezione Bodmer, che mi commuove come
solo certe poesie e certe arie dopera, lavevo vista esposta in una grande
mostra a San Miniato nel 2011 e non smettevo di girarle intorno – farle
la corte. La bellissima Erinni mi fa pensare ai prigioni
– una prigioniera liberata – o alla sacrestia di San Lorenzo. In una pagina di ricordi, Marta Innocenti scrive: Per noi figli
queste sculture erano come delle amiche: le chiamavamo per nome, il nome della
persona ritratta, del personaggio raffigurato, o della modella che aveva posato
per lui. Cera, per esempio, una grande scultura, Erinni, in un marmo
molto liscio e bianco, un po gelido. Lui ci incoraggiava a toccarla e
accarezzarla. Col passare degli anni, Erinni prese dalle
nostre mani il calore di una splendida patina. Che due figlie, Marta
Innocenti e Chiara Rivetti, siano ciascuna a suo modo impegnate a tener viva la
bellezza che hanno ereditato, una buona notizia,
oggi.
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