A cura di

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Basilicata

Centro Operativo Misto di Maratea

Parrocchia Sant Maria Maggiore di Maratea

Città di Maratea

LA CHIESA di “SAN VITO”

San Vito è la prima chiesa del Borgo, appena inaugurato nel Capocasale e l’ultima del Castello, che, sulla soglia del nuovo millennio, forse esausto del probabile abbraccio dei fratelli fuggiaschi di Blanda, si avvia lentamente a farsi “monumento” di archeologia.

   Il passaggio dall’alto al basso Medioevo segna anche per Maratea l’evoluzione da un’economia arcaica, fatta di pascolo e di pesca ad una per più aspetti nuova, che si accredita di moderno, nell’esercizio di nuovi arti e mestieri e di nuovi produzioni e commerci.

   E qui, quella soglia si disegna e dilata nella fascia boschiva, che traccia il confine tra il cavernoso Monte Minerva, ammantato di carpini, che al soffio del vento si fanno canne di organo per una musica di angeli oranti e tappezzato di muschio, che fatica tutto l’anno per farsi terra di Ebron, a Natale, nel presepe. E proprio qui, in tale paesaggio, potentemente suggestivo, ove l’Eparchia del Mercurion solcò di preghiera la via degli eremi e delle laure per un popolo di santi e profeti in continuo pellegrinaggio verso il Santuario dell’Incontro (Ipapante), si incastona qual gemma umile eppur preziosa, la Chiesa di San Vito.

Il sacro edificio nasce nell’incipiente Borgo non quale chiesa autonoma, bensì succursale della Chiesa parrocchiale di San Basilio il grande, che opera nel Castello secondo il rito greco, con la chiesa di Maria Santissima Madre di Dio (Theotokos), di San Nicola, dei Santi Quaranta Martiri e di San Biase (già, forse, Santa Maria della Visitazione), l’unica sopravvissuta alle barbarie dell’uomo e all’usura del tempo.

La dedicazione a San Vito (di cui si ignora la data) è forse attribuibile alla fama che il santo – nato, secondo la leggenda, a Mazzara del Vallo negli ultimi anni del III secolo d.C. e convertito ancor fanciullo al Cristianesimo – si era meritata quale straordinario taumaturgo già in vita e quale coraggioso martire nella divampante persecuzione di Diocleziano (l’imperatore che, tra l’altro, riordinò la Lucania), indispettito, sempre secondo la leggenda, dalla fermezza della fede di questo giovanissimo (per alcuni dodicenne, per altri diciassettenne) testimone di Cristo.

Peraltro San Vito, come si legge nel Martirologio Geronimiano, subì il martirio il 15 giugno 303, in Lucania, sulle sponde del Sele. E tale circostanza lo avrà fatto subito sentire e venerare come un santo martire della regione lucana, che, come noto, si estendeva, sul versante Tirreno dal fiume Sele (già Silaro) al fiume Lao.

L’edificio è a navata unica, con pianta rettangolare, con tetto a due falde in coppi e due capriate lignee interne. Il presbiterio, con volta a crociera, al cui centro è disegnato uno stemma che raffigura l’Agnello di Dio, inserito in una corona di alloro, probabilmente lo stemma del Vicario Capitolare (Biblioteca Centro Culturale Maratea, ms. D. Biagio Antonio Iannini, fasc. I, f.28), presenta un altare con il paliotto decorato a motivi floreali, con una croce centrale. Dal lato sinistro si accede a due piccoli locali che fungono da sacrestia.

Sui piedritti del sottarco che separa la navata dal presbiterio, sono visibili due dipinti murali che riproducono, a sinistra, il volto di San Biagio e a destra, il volto di San Francesco d’Assisi, databili al500. I muri del catino absidale sono arricchiti da interessanti affreschi del400. In particolare si distinguono due figure, quella della Madonna in trono e quella di San Giovanni Battista, in basso a destra due offerenti. A sinistra del dipinto centrale si notano tracce di pittura forse di un’altra raffigurazione, quella di San Biagio, cancellata nel tempo. In una nicchia, a destra della zona presbiteriale, è conservato un frammento di affresco quattrocentesco, che riproduce l’effige di San Vito, mentre sulla parete di destra della navata è dipinta la figura di San Rocco del ‘500.

Nel retroprospetto è posta un’epigrafe, datata 1757, che ricorda i benefattori della chiesa Francesco Mazzeo e Orsola Schettini e un’acquasantiera, in marmo grigio, a forma di conchiglia del700.

La chiesa è affiancata da un campanile, di piccole dimensioni, sul cui fronte è dipinta la data 1889, riferibile probabilmente ad un suo restauro, con pianta quadrata e tre archetti a sesto acuto, terminante con una cuspide piramidale. L’abside, all’esterno, è abbellito da tre corsi concentrici di romanelle. Sulla parete opposta all’ingresso sono visibili due finestrelle murate, a mo’ di feritoie.

Dai verbali delle Visite episcopali e pastorali, conservati nell’Archivio parrocchiale, che però si riferiscono ad un periodo che decorre solo dal 1603 in poi, risulta che la chiesa era adornata di due altari, quello maggiore e l’altro dedicato a San Rocco ed era impreziosita dagli affreschi recuperati, solo in parte, durante i lavori di restauro del marzo 1980.

Possedeva anche una rendita di otto ducati all’anno, elargita dal benefattore Antonio Marotta. Nel 1679 venivano sospese le funzioni religiose in quanto fatiscente, riprese nel 1724 con il ripristino di un solo altare. Dagli stessi si apprende che nel 1726 possedeva anche una statua raffigurante San Vito, attualmente custodita nella chiesa matrice di Santa Maria Maggiore. Nella relazione del Luogotenente Vescovile in Maratea, Ottavio Rossi del 15 giugno 1830, si legge che era provvista di due altari decentemente ornati, di una sepoltura e della sacrestia ed era in buono stato per cura e devozione dei signori Calderano; nell’ultimo verbale del 1846 viene citata come “cappella comunale in buono stato in quanto ha arredi sacri ed altari, ha bisogno solo delle riparazioni del tetto”. Un’ epigrafe ubicata all’esterno, sulla porta dell’ingresso, ricorda che l’edificio subì interventi di restauro nel 1883. L’ultima opera di recupero del 1980, è stata curata dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, attraverso le sue Soprintendenze.

SAN VITO, MARTIRE

La più antica chiesa sorta sul territorio di Maratea Inferior è dedicata al martire San Vito, vissuto secondo la tradizione tra la fine del III secolo e i primissimi anni del IV. Il Martirologio geronimiano lo definisce “Lucanus”, notizia molto attendibile, confermata anche dalla collocazione del suo martirio presso il fiume Sele. Un’altra Passio del sec. VII, narra che le sue origini furono siciliane, precisamente di Mazara del Vallo (Trapani), membro di una ricca famiglia, rimasto orfano della madre, fu affidato ad una nutrice Crescenzia e poi al pedagogo Modesto, che essendo cristiani lo convertirono alla loro fede. Sotto la persecuzione di Diocleziano, a soli sette anni, era già noto come cristiano. Quando era già adolescente, suo padre non riuscendo a farlo abiurare, lo denunziò al preside Valeriano, che ordinò di arrestarlo; che un padre convinto pagano, facesse arrestare un suo figlio o figlia divenuto cristiano, pur sapendo delle torture e morte a cui sarebbe andato incontro, è figura molto comune nei Martirologi dell’età delle persecuzioni. Il preside Valeriano con minacce e lusinghe, tentò di farlo abiurare, senza successo. Il ragazzo aveva come sostegno, con il loro esempio di coraggio e fedeltà a Cristo, la nutrice Crescenzia e il maestro Modesto, anche loro arrestati. Visto l’inutilità dell’arresto, il preside lo rimandò a casa, allora il padre tentò di farlo sedurre da alcune donne, ma Vito fu incorruttibile e quando Valeriano stava per farlo arrestare di nuovo, un angelo apparve a Modesto, ordinandogli di partire su una barca con il ragazzo e la nutrice. Durante il viaggio per mare, un’aquila portò loro acqua e cibo, finché sbarcarono alla foce del Sele sulle oste del Cilento, inoltrandosi poi in Lucania. La grande fede di Vito si manifesta con la parola e con i prodigi, finché i soldati di Diocleziano non lo rintracciano e vogliono condurlo a Roma dall’imperatore, il quale saputo della fama di guaritore del ragazzo, l’aveva fatto cercare per mostrargli il figlio coetaneo, ammalato di epilessia, malattia che all’epoca era molto impressionante, tale da considerare l’ammalato un indemoniato. Vito guarì il ragazzo e come ricompensa Diocleziano ordinò di torturarlo, perché si rifiutò di sacrificare agli dei; qui si inserisce la parte leggendaria della ‘Passio’ che poi non è dissimile nella sostanza, da quelle di altri martiri del tempo. Venne immerso in un calderone di pece bollente, da cui ne uscì illeso; poi lo gettarono fra i leoni che invece di assalirlo, diventarono improvvisamente mansueti e gli leccarono i piedi. Continua la leggenda, che i torturatori non si arresero e appesero Vito, Modesto e Crescenzia ad un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra; lo stesso Diocleziano fuggì spaventato. Comparvero degli angeli che li liberarono e trasportarono presso il fiume Sele, nell’antica Lucania, dove essi ormai sfiniti dalle torture subite, morirono il 15 giugno 303; non si è riusciti a definire bene l’età di Vito quando morì, alcuni studiosi dicono 12 anni, altri 15 e altri 17. Purtroppo bisogna dire che il martirio in Lucania è l’unica notizia attendibile su Vito, mentre per tutto il resto si finisce nella leggenda. Ed è proprio a questa “lucanità” del giovane martire, che si deve la diffusione del suo culto in tutta l’antica Lucania, e in specie, anche nella zona meridionale, nella quale è compresa Maratea. San Vito, al di là delle notizie più o meno leggendarie della sua biografia, si presenta a noi quale modello di santità giovane e coerente. È inserito nella lista dei 15 santi ausiliatori, nella quale è presente anche il nostro San Biagio, ed è invocato in modo particolare contro l’epilessia e la corea, che è una malattia nervosa che dà movimenti incontrollabili, per questo è detta anche “ballo di san Vito”; poi è invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia, l’ossessione demoniaca ed i morsi dei cani rabbiosi, motivo per cui è rappresentato con un cane al guinzaglio, oltre che con la palma, segno del martirio. Protegge i muti, i sordi e singolarmente anche i ballerini, per la somiglianza nella gestualità agli epilettici. Per una singolare assonanza tra il suo nome e il peccato dell’“invidia”, in alcuni luoghi è anche invocato come il santo che contrasta l’invidia.

Don Luciano Labanca

PREGHIERA A S. VITO

Amabilissimo giovane

 e gloriosissimo Protettore S. Vito,

gradite, vi prego

 con l’amabilità del vostro genio,

 la piccolezza dei nostri ossequi

 e con la grandezza dei vostri meriti

 date valore alle nostre suppliche.

La vostra tenera età

 sia sempre di guida

 agli anni nostri,

la vostragenerosa costanza

 sempre vittoriosa tra mille assalti,

dia forza alle nostre fiacchezze

 contro le nostre passioni ribelli

e contro i nostri comuni nemici,

e ottenete dalla Divina liberalità

 ai vostri veri devoti,

 gli opportuni soccorsi

 nei temporali e spirituali bisogni

 in questa vita,

 e gli eterni godimenti nell’altra.

 

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