Città di Maratea

Provincia di Potenza

Piazza Biagio Vitolo  1 – 85046 Maratea (Pz)

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PRESENTAZIONE GEOSTORICA  DI  MARATEA

 

  Maratea condivide il suo nome con molti luoghi della Grecia(1) tra cui “Marathon” la storica città di Maratona, ove Milziade con soli 11000 ateniesi vinse  600.000 persiani (490 a.C.).  E proprio come   Marathon, significherebbe  secondo Racioppi, Rholfs e Pugliese Carratelli,(2) “il luogo dove cresce il finocchio”, pianta che vi vegeta ancor oggi abbondantemente.(3)     

 Farà parte della Lucania, che sarà la  Regio III Augustea e dal V sec. d.C. della Provincia Bizantina, che dopo il Mille si chiamerà Basilicata.

Si affaccia sul Tirreno con una costa lunga 32 km, incuneandosi tra la Campania e la Calabria.   Ricca di sorgenti, fiumi e torrenti, si estende per oltre 67 km quadrati, tra ubertose valli e colline, con i monti di Coccovello (m. 1508) Cerrita (m.1083) Crivo (m.1277) e Minerva, ora S. Biagio (m.623), che le fanno  corona, avendo alle spalle i Parchi  del Cilento e del Pollino. La sua popolazione  che superava le settemila unità, si è ridotta a causa dell’emigrazione, che ha fatto seguito all’Unità d’Italia. Conta ora  5194, abitanti presenti nel centro storico del Borgo, nella valle che degrada con le sue colline  dai monti al mare  e nelle frazioni marine di Acquafredda, Cersuta, Fiumicello, Porto, Marina e Castrocucco e montane del Castello - Santa Caterina, Massa e Brefaro.

Il primo insediamento umano sul suo territorio risale al XV secolo a.C.: sono pastori di “Civiltà Appeninica”, che scelgono il promontorio di “Capo la Timpa”, quasi a metà della fascia costiera, in posizione prominente sul mare e perciò strategica sia ai fini della navigazione e dei commerci, sia per ragioni di difesa. La tecnica costruttiva delle capanne col pavimento  a battuto steso, su sottofondo di ciottoli, testimonia influenze culturali dal Mediterraneo orientale, ivi compresi probabili rapporti con la civiltà micenea, mentre i motivi decorativi rinviano a relazioni commerciali con le Isole Eolie. (4)

Nel VI secolo a.C., mentre continua a vivere l’insediamento di Capo la Timpa, altri nuclei si attestano nella fascia costiera, a Castrocucco, ove gli scavi archeologici hanno riportato in luce una necropoli del IV secolo a.C., con tombe ad “ustrinum” e alla “cappuccina” e nell’immediato retroterra, a Massa. Se la ceramica indigena  rientra nel repertorio formale e decorativo dell’area enotria, altra ceramica testimonia, tra i prodotti coloniali, la presenza di tradizione ionica. Peraltro, anche la campagna di archeologia subacquea, disposta dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ha restituito vasi del VI secolo a.C. di area ionico-massaliota, assieme ad altro vasellame romano e punico e con essi ben 64 ancore: il più importante giacimento per qualità e genere di quel Mediterraneo, che Sabatino Moscati ha definito “il più grande museo archeologico del mondo”.

Sempre sulla costa, a “Capo la Secca”, altro insediamento lascia la testimonianza di un impianto della salsa tanto apprezzata dai greci e romani, il “garum”, ma anche di altra salagione di pesce, con due vasche di forma quadrangolare, posto a ridosso di una splendida villa, dove esiste un approdo naturale, mentre sull’isolotto di Santo Janni si rinvengono i resti di un’ara e di un impianto per la produzione e il commercio del “garum”, costituito da ben sette vasche allineate tra loro e poste a quote diverse oltre i ruderi di una laura basiliana. Sia a Santo Janni, sia a Capo la Secca si registra la presenza di anfore e di altre ceramiche fini tipo sigillata italica e africana di particolare interesse. E’ molto probabile che il porto greco-romano abbia occupato lo spazio di mare compreso tra “Punta della Matrella” e “Santo Janni”, come induce a pensare il rinvenimento in tale aerea del suddetto giacimento di ancore e di numerosi frammenti anforici (Dressel 21/22), nonché dei resti di un carico onerario,  compreso il fasciame della nave, con anfore, che al momento del naufragio erano riempite e che partivano, appunto, dai suddetti insediamenti, dove il pesce veniva lavorato.(5)

Sempre lungo la costa, in contrada “Santavenere”, sono stati  rinvenuti, secondo la testimonianza di Andrea Lombardi, di inizio ‘800, i resti di un tempietto in fabbrica reticolata, dedicato a Venere, mentre, secondo una antica e radicata tradizione, altro tempio, dedicato a Minerva, sarebbe sorto sulla cima dell’omonimo monte,  sul sito occupato poi dal  tempio  cristiano, che ne avrebbe utilizzato in parte marmi di risulta.    

Ed è appunto su tale monte che si costituisce il primo nucleo abitativo, che prende il nome di Marathea o Marathia. 

La storia di Maratea, da allora in poi, si identifica sempre più con la storia religiosa dell’area e ciò costituirà la caratteristica peculiare di questo sito, che finirà per identificarsi in quella “Maratea sacra”, di cui si dirà in appresso. (6)

Sempre sulla fascia costiera (come già indica Plinio) e appena a sud di Castrocucco,  la stessa  Blanda (7)  città lucana, conquistata da Roma nella II guerra  punica (214 a.C.),  giusto quanto riferisce  Livio,  diviene subito cristiana, con l’avvento della nuova Era.

In località Castrocucco sono state rinvenute, nella suddetta necropoli , tombe di una comunità ormai cristiana ed una lucerna col simbolo del “Crismon”, che testimonia anche il legame col Nord Africa subito cristianizzato. Per il rapido diffondersi del cristianesimo nell’area, Blanda diviene sede di Diocesi, come risulta dalla lettera di Papa Gregorio Magno a Felice vescovo di Agropoli, del 592 d.C.. Peraltro  ai  Sinodi romani del 595 e del 601 partecipa  Romanus Episcopus Ecclesiae Blandane, e prenderanno parte al sinodo del 649, indetto da Papa Martino, “Pascalis Episcopus Santae Ecclesiae Blandanae” e all’ altro Sinodo, indetto da papa Zaccaria, nel 743   Gaudiosus  Blandarum  Episcopus”.  Da  allora in  poi non si hanno più notizie di Blanda, che forse scompare per calamità naturali o forse per le micidiali incursioni saracene. E’ probabile che la sua gente fuggiasca abbia trovato accoglienza nel nucleo abitativo marateota sul monte Minerva. Sta di fatto che, da quel tempo in poi, si verifica un incremento demografico non più contenibile nel piccolo paese arroccato sulla cima del monte.

Incomincia allora l’insediamento da parte della popolazione  marateota nello spazio che si estende a piè  del monte, protetto dal bosco dei Carpini e comunque escluso dalla vista dal mare, ed in  esso si registra, intorno al Mille, un  secondo nucleo abitativo, che si chiamerà “Capocasale” e che, svolgendosi nei secoli successivi verso la valle, si completerà in altro nucleo dal nome di “Casaletto” ed entrambi prenderanno il nome di “Borgo”, così distinguendosi dal primo insediamento, che resta su monte Minerva, e che, essendo fortificato, ha preso il nome di “Castello”.

Intanto, dal V-VI d.C., il Castello ha accolto i monaci, che, seguendo la Regola di San Basilio (che, come noto, non fondò alcun Ordine monastico, ma ne ispirò la vita), si diffondono nell’Italia meridionale, che, caduto l’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), resta sotto l’Imperatore di Oriente. La loro presenza si incrementa durante la battaglia condotta dagli Iconoclasti, che si inasprisce con l’imperatore Leone III Isaurico, il quale ordina la distruzione delle immagini e delle reliquie (726),  che da allora i monaci fuggiaschi trasferiscono  in Occidente.  Come noto, il contrasto tra gli Iconoduli, che si rifanno al nuovo Testamento e cioè al Dio che si è fatto uomo e che è perciò rappresentabile in forma umana e gli Iconoclasti che con Leone Isaurico, paventano la contaminazione del cristianesimo con ritornanti forme di idolatria, si risolve  col Concilio di Nicea del 787, che, riconoscendo valide le argomentazione degli iconoduli, favorisce, tra l’altro, lo sviluppo dell’arte sacra. Un terzo incremento della presenza dei monaci si registra a seguito della caduta di Taormina (902) e l’occupazione di tutta la Sicilia da parte degli arabi, ma anche dei continui assalti saraceni, che si consumano in Calabria.

Maratea assume una funzione particolarmente importante nella “Eparchia del Mercurion(8) per la sua collocazione nel Golfo di Policastro, per l’abbondanza delle grotte, per l’amenità del clima e la ricchezza delle acque e per trovarsi in un punto di snodo tra la Calabria e la Campania, sulle tracce della via Popilia costruita nel 132 a.C..

I monaci basiliani caratterizzano la storia di questa terra con la loro vita di ascesi, di studio  e di raccoglimento, donde i numerosissimi eremi, laure e cenobi e la significativa produzione agiografica,  calligrafica e melodica  ma, anche, insegnando e diffondendo tecniche di bonifica, di canalizzazione e di coltivazione,  nonché di costruzione di edifici sacri e civili. Peraltro, proprio nel periodo della più aspra lotta iconoclasta, nel 732, secondo la tradizione, approda sull’Isolotto di Santo Ianni l’urna delle reliquie di San Biagio vescovo, medico e martire di Sebaste (Armenia). Maratea-Castello, che ha già nella chiesa di San Basilio la sua parrocchia, accoglie la suddetta urna in una delle sue cinque chiese, quella dedicata alla Theotokos che, da allora diverrà di “San Biase”, tempio probabilmente eretto su quello in antico dedicato a Minerva e che, a testimonianza della continua diffusione del culto, si svilupperà architettonicamente nel tempo, rivestendo il paleocristiano con opere delle epoche successive fino al barocco, meritando privilegi papali da Clemente VII a Pio IV (che la visita), Pio V, Benedetto XIII e Leone XII, l’attenzione di Filippo IV di Spagna, che vi eleva la Regia Cappella e, infine, la dignità di “Santuario Basilica Pontificia” da parte di Pio XII ( 1940). (9)

Nel 1079, una bolla di Alfano I si riferisce alla città di Maratea, con  le prime due  parrocchie (Maractie e Castrocucco). Nello stesso periodo la presenza bizantina va meglio definendo la nuova regione, che da essa si  chiamerà   Basilicata  (nome che  compare per la prima volta in un documento del 1175),  e  che  riduce l’area dell’antica Lucania, che, come noto, si estendeva dal fiume Sele, e perciò da Paestum, fino al fiume Lao, dopo Scalea. Maratea resta contesa, con l’intero territorio lucano, tra i Longobardi, che fortificano il castello, dopo che si sono insediati, a seguito della divisione del Ducato di Benevento nell’850, nel  Principato di Salerno ed i Bizantini, che intanto devono difendersi, anche, dai continui attacchi saraceni, che costringono molte popolazioni a rifugiarsi sulla sommità dei colli o tra le montagne.

Maratea entra dopo il 1077, a far parte dei territori ormai di dominio normanno. Con i Normanni, convertiti al cristianesimo di Roma, comincia la latinizzazione della chiesa di rito greco e i Monaci Benedettini, in particolare i Cavensi, prendono gradualmente il posto dei basiliani. E tutto ciò mentre inizia lo Scisma tra la Chiesa  d’Oriente e quella d’Occidente, originato nel 1054, quando Leone IX e Michele Cerulario si scomunicano a vicenda.

Al tempo di Federico II (1194-1250), Maratea entra  nell’ordinamento territoriale del Giustizierato, comparendo nei registri della Cancelleria sveva ed in particolare nel documento del 5 ottobre 1239,  in cui l’Imperatore  detta disposizioni che obbligano gli “homines" di Viggianello, Rotonda, Castelluccio, Lauria, Aieta e Papasidero a provvedere, ovviamente insieme ai marateoti, al mantenimento in funzione del “Castrum Maractie”.(10)

Con gli Angioini, Maratea è riconosciuta “città libera”, ossia non infeudata. Tra i privilegi confermati  da  Giovanna  II  nel  1414  è  rilevante quello del divieto assoluto di cessione in feudo; divieto che permarrà anche  con gli Aragonesi, che, anzi, aggiungono altri privilegi, quali quelli concessi da Ferdinando I (1469) e da Federico II (1496), nonché   da Ferdinando III  di Spagna (1506).

L’imperatore Carlo V, le attribuisce (donandole, come è stato detto, l’attuale stemma), il titolo di Città (1531), dopo che i marateoti si sono riscattati dalla cessione in feudo operata dal cardinale Colonna a favore del conte Carafa.

Il Vicereame spagnolo conferma i privilegi di Città Libera e,  per meglio tutelarla, affianca ai già esistenti Castello di Castrocucco e  Torre “l’Imperatrice” o l’“l’Imperatore” di Santavenere, nella seconda metà del 500, le torri costiere, dette di avvistamento anti-saraceno o fumaiole dei Crivi, di Acquafredda, di Apprezzami l’Asino, di Filocaio e di Punta Caina, oltre quella di Santavenere (che il Pacichelli definirà “la migliore del Regno”).

Dal400 intanto Maratea-borgo registra, con l’incremento demografico, quello dei suoi edifici monumentali, che costituiranno anzitutto il suo eccezionale patrimonio religioso, con le sue innumerevoli  chiese (ancora oggi se  ne contano 60, di cui 44 aperte al culto,  5 conventi, la colonna di San Biagio, la stele della Madonna Addolorata, cui si aggiungeranno la Croce Monumentale e il monumento al Redentore  e quello a Padre Pio, oltre le innumerevoli edicole sparse su tutto il territorio), ma anche l’importante patrimonio civile con i suoi tanti Palazzi storici e le splendide ville pubbliche e private.

Ma Maratea, già nel corso del XV secolo dovrà difendere la sua autonomia prima contro il conte Sanseverino di Lauria, che fa cingere d’assedio il Castello (1440) e poi dall’esercito francese di Carlo VIII, che tenta parimenti di espugnarlo (1495). In entrambi gli episodi Maratea resiste valorosamente e si accredita la vittoria. Anche la nuova Maratea  dovrà difendersi nel secolo XVII, ma stavolta da un esercito di banditi (ben 160), che spargono terrore sull’intero territorio e da cui si salva grazie all’intervento della fucileria del Castello.

In pieno illuminismo la classe colta accoglie le idee di libertà, propagandate dalla rivoluzione francese e da Napoleone e illustri cittadini marateoti  partecipano alla gloriosa e sfortunata Repubblica Partenopea del 1799 (11) ; ma l’aggressione dell’esercito francese, al tempo di re Giuseppe Napoleone, divide il Castello filo- borbonico dal Borgo, prevalentemente filofrancese ed il Castello, con le sue mura fino allora inviolate, deve cedere alla proponderante forza francese e, il 10 dicembre 1806,  dovrà subire la sconfitta, sia pure  con l’onore delle armi, cui faranno seguito la soppressione dei conventi (escluso quello delle Visitandine) e la incorporazione dei beni ecclesiastici, la perdita della qualità di Capo Ripartimento, da cui dipendevano 29 Comuni e di  tutti i privilegi di Città libera, con la chiusura del municipio di Maratea-Castello (12).

Maratea è tra i centri che pacificamente aderiscono  all’annessione al Regno di Italia, nel plebiscito del 21 ottobre 1860.  Subirà, come gran parte della popolazione del Mezzogiorno d’Italia, l’emorragia  dell’emigrazione,  con tutti i problemi della cosiddetta  “Questione Meridionale”(13). Si arricchisce nel tempo  di un buon sistema viario (le SS. 18 e 19 e la linea ferroviaria), che però riduce l’importanza del porto, che cessa di essere  l’unico sbocco per il vasto retroterra, di un eccellente sistema scolastico con istituti di istruzione media e superiore e convitti maschile e femminile e di un importante sistema ospedaliero.

Negli anni ’50 viene industrializzata, ma viene  provvidenzialmente, anche inserita nei circuiti turistici internazionali e dotata di un elegante porto turistico.

Nel 1964 il Ministero della Pubblica Istruzione la ritiene meritevole  di tutela, sottoponendola a vincolo, a norma della legge 1497/1939.

Anche Maratea è colpita dal terremoto degli anni 80/81, ma ne risorge con sorprendente impegno di recupero dell’esistente e di ammodernamento degli impianti, ai fini di una valorizzazione intelligente del territorio. Affida a valorosi architetti nuovi insediamenti residenziali per i colpiti dal terremoto nonché la progettazione urbanistica, promuove la rivisitazione  della struttura alberghiera, che supera le venti unità; amplia la rete viaria, ammoderna i lidi, si dota di un impianto esemplare di depurazione e restaura, con il concorso delle Soprintendenze, gli edifici monumentali ed in particolare le sue 44 chiese, affidandone l’apertura ai giovani, con un interessante progetto di “adozione dei monumenti”; istituisce il “Centro Culturale Maratea”, riordina l’Archivio e apre al pubblico la Biblioteca.

Nel 1985 il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali  rinnova e definisce meglio il vincolo, a norma della legge 431/1985 e vi istituisce il Centro Operativo Misto delle 3 Soprintendenze,   progettando nel restaurato Palazzo “De Lieto” il Museo del Territorio.

Nel quarantesimo anniversario della Costituzione italiana  entra a far parte degli storici “100 Comuni d’Italia”.

Negli anni ’90 entra nella Rete Europea di protezione ambientale “Natura 2000”, con 4 aree SIC e 5 Habitat di pregio.

Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, con provvedimento del 10 dicembre 1990,  le conferma il titolo di Città.

Intanto diventa meta ambita di turismo piuttosto elitario, “location” per opere teatrali,  per films e servizi televisivi, paradiso dei subacquei, ma anche sede di Premi letterari, cinematografici, teatrali e giornalistici,  di congressi  nazionali e internazionali  (si ricordano in particolare quelli di Architettura, Archeologia,  Parchi, ville e giardini storici,  Ingegneria,  Sanità,   Attività forense e su “Memorabilia” ed il Paesaggio) ,  mentre  il nome di Maratea viaggia nel cielo con un aereo della flotta Alitalia e per terra con un comoda berlina  della Fiat. E dal Palazzo di Città sventolano da anni  le bandiere blu e delle cinque vele, che attestano la qualità del mare  e delle spiagge, della  gestione del territorio, dell’educazione ambientale e della promozione del turismo sostenibile (14) .

(vedi allegati)

 

 

(1)Marathea” in Laconia, “Marathea” in Argolide e “Marathia” in Ilia, tutte nel Peloponneso; “Marathea” in Tessaglia; “Marathia” di Evrytania nella Sterea Ellada, “Marathia” stupendo promontorio dell’isola di Zante, “Marathonissi” dell’omonima isola, “Marathonisi” della Morea, “Marathi”, isola del Dodecaneso.

(2)  Giacomo Racioppi  Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, 1889; Gerhard Rohlfs, Dizionario storico dei cognomi in Lucania: repertorio  onomastico e filologico, ristampa Ravenna 1985; Giovanni Pugliese Carratelli “Per la storia antica di Maratea” in Agenda- Istituto Poligrafico Zecca dello Stato 1996

(3)  v. anche Trinchera, Syllabus Graecarum Membranarum, Napoli, 1865

(4)  Paola Bottini ( a cura di ) Greci e Indigeni tra Noce e Lao,  Lavello 1998

(5) Fabrizio Mollo in  Quaderni di Archeologia- Università degli Studi di Messina, 2014

(6) Francesco Sisinni ( a cura di ) Maratea Sacra- Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, 1997

(7) Giovanni Guzzo in  Bibliografia topografica della colonizzazione  greca in Italia e in Sicilia, 1985

(8) Francesco Russo “ Il Mercurion” in Rivista Potenza, 1967

9) Carmine Iannini  Discorso Istorico “ Di San Biase e di Maratea”, 1835 – Domenico Damiano “ Maratea nella storia e nella luce della fede” 1954

(10) Soprintendenza Belle arti e paesaggio della Basilicata - Francesco Canestrini (a cura di)  “Castelli Mura e Torri della  Basilicata”-  Potenza 2015. Eugenio Martuscelli,Il “Castello di Muro Lucano”,  Roma, 2014

(11) Diocesi di Tursi Lagonegro – Card. Casimiro Gennari – 2014

(12)  Carmine Iannini – Discorso Istorico – “ Di San Biase e di Maratea “ – 1835

(13) Tommaso Pedio – Storia della storiografia lucana … – 1984

14) Josè Cernicchiaro (a cura di) “Conoscere Maratea” – Napoli, 1975

 

 

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