NON CI SARA PIU BISOGNO DI EMIGRARE DA MARATEA

di GIOVANNI RUSSO, Corriere della Sera – 15 ottobre 1957

Maratea sta diventando famosa. Anche allestero giunta la fama delle sue bellezze panoramiche e i turisti stranieri cominciano a preferire questo posto a luoghi pi celebri, ma invasi, ormai da folle di villeggianti. Si aperto per noi un avvenire migliore. Cos mi dice il vice-sindaco di Maratea, signor Limongi, un uomo facondo e cordiale, che sostituisce, in questi giorni, il sindaco Vitolo, un vecchio signore molto stimato, costretto da una malattia della moglie a tralasciare provvisoriamente le sue funzioni alle quali si dedica da tanti anni. Maratea sorge sulla costa tirrenica della Lucania, un tratto di appena 34 chilometri fra la costa campana e calabrese. Il paese appollaiato, in alto, sotto il picco roccioso dove sorgono una croce monumentale la Basilica di san Biagio, il santo protettore. Ai piedi del paese si stende una conca verdeggiante di oliveti e di vigneti, punteggiata da case dal tetto rosso, che scende fino alla marina dove si apre una baia di classica bellezza. Non ci si sorprenderebbe affatto se, allimprovviso, comparissero sulle onde le navi di Ulisse. Il mare viene a morire tra le scogliere, in piccole rade e fra rocciosi spuntoni, su cui si ergono torri dirute.

La ragione per cui il paese sorto in questa posizione la stessa che ha dato origine a tanti paesi delle coste meridionali. Gli abitanti, nel Medio Evo, abbandonavano le spiagge, insicure per le razzie dei pirati barbareschi e si rifugiavano sui picchi montani, al sicuro. I marateoti andarono a vivere addirittura sul cocuzzolo dove sorge la Basilica del Santuario e vi rimasero per secoli. Poi, quando la minaccia cess, scesero gi, ma il ricordo della grande paura li trattenne a mezza strada ai limiti della conca verdeggiante. Salendo al Santuario si passa per lantica Maratea. Nel paese abbandonato, le case sono quasi tutte cadute e quelle ancora in piedi hanno porte e finestre sprangate. I milanesi hanno scoperto anche questo posto, da cui si gode una vista incantevole, e hanno acquistato alcune case per venirvi a trascorrere le vacanze in solitudine e in pace. I segni di tempi nuovi sono evidenti alla marina di Maratea, dove un industriale biellese, il conte Rivetti, ha costruito una fabbrica tessile e un grande e lussuoso albergo, con laiuto della Cassa per il Mezzogiorno. Questa attivit ha portato un soffio rinnovatore in un ambiente immobile da centinaia di anni.

BENEFICI DEL TURISMO

Il paese – mi dice il vicesindaco – conta circa cinquemila abitanti. Lospedale comunale, che dispone di cento posti-letto, uno dei migliori della provincia, possiede moderne attrezzature e reparti specializzati. Maratea sede di una scuola media statale e di un educandato femminile, gestito da un ordine di suore, con annesso un Istituto magistrale parificato. Lamministrazione comunale accolse con entusiasmo, nel 1954, larrivo dellindustriale Rivetti e cerc di favorire le sue iniziative. Il comune ha ceduto lottanta per cento di alcune imposte comunali, pagate dal gruppo industriale, in favore delle imprese turistiche lucane e si offr anche di contribuire con le imposte di consumo, uno dei pochi cespiti redditizi alla spesa per la costruzione dellelettrodotto, ma lindustriale rinunzi allofferta per risparmiare al Comune un sacrificio troppo oneroso. Noi abbiamo ben compreso – dice il vice-sindaco – i benefici che possono derivare alla popolazione dallo sviluppo economico e turistico della zona.

Prima di queste iniziative, le risorse di Maratea erano soltanto lagricoltura e lemigrazione. Ne uno poteva dirsi ricco, ma nessuno era veramente misero, perch i marateoti sono gente laboriose parca, che lotta contro le difficolt di una natura solo in apparenza benigna, e che si procura cos una esistenza dignitosa. Nel Mezzogiorno, infatti, intelligenza e buona volont non bastano per farsi strada. Sicch anche la borghesia benestante deve fare duri sacrifici per mantenersi a un livello di vita dignitoso. questo il suo dramma. La borghesia meridionale non ha avuto per secoli altra speranza che limpiego statale o lincarico comunale. Molte aspirazioni vengono cos soffocate. Ad esempio una delle migliori famiglie di Maratea quella dei baroni Labanchi, il cui capostipite, luogotenente governatore degli Stati del principe di Bisignano, fu investito del titolo dal re Carlo II di Spagna nel 1664. Il suo discendente, don Emanuele Labanchi, si vide deperire irrimediabilmente la propriet, ai primi del secolo, per una malattia che attacc e distrusse quasi completamente le sue piantagioni di cedri. Era rimasto orfano a 17 anni e aveva dovuto perci rinunciare a proseguire gli studi. Si dedic completamente al lavoro e alla famiglia. Gi da tempo il feudo di Castrocucco (pittoresco vecchio castello diruto che sorge su un picco vicino al mare) non apparteneva pi alla sua famiglia.

Don Emanuele Labanchi, gentiluomo di vecchia razza, riusc a dare unottima educazione ai quattro figli, tutti ora stimati professionisti e nello stesso tempo, non trascur, anche a costo di personali sacrifici, di aiutare, con animo generoso, i bisognosi. Egli sarebbe lunico erede al titolo nobiliare, dopo la morte del capo della famiglia, il cugino Francesco Labanchi, ma ha rinunziato a rivendicarlo. Con questo cugino egli ebbe lunica vicenda giudiziaria della sua vita, ma ormai lepisodio chiuso da anni e don Emanuele, che conserva un geloso ricordo del suo parente, non ama pi che se ne parli. Ora ha 85 anni ed immobilizzato da una malattia. Siede tutto il giorno su una poltrona presso il balcone da cui si mira il bellissimo panorama di Maratea, uno spettacolo che gli d forza e serenit e fuga persino le tristezze della vecchiaia.

LA COSTRUZIONE DEL PORTO

Molti abitanti di Maratea hanno poi cercato di migliorare le loro condizioni emigrando.  Lemigrazione stata una grande risorsa e le rimesse degli emigranti hanno costituito e costituiscono un notevole reddito per il paese. Finalmente ora le cose cominciano a mutare e forse tra qualche anno nessuno pi emigrer (tranne coloro, ancora numerosi, che hanno interessi allestero, come il signor Lamarca, un notabile del luogo, che stato recentemente in Brasile soltanto per aiutare due suoi fratelli nellamministrazione delle loro propriet in quel paese) perch potr trovare lavoro nella zona. Non bisogna pensare per che il futuro si presenti facile. I problemi per creare e sviluppare il turismo e lindustria sono gravi, molti, e richiedono energia e danaro. Si tratta di costruire strade di accesso al mare, fognature, lacquedotto, stabilimenti balneari, aprire nuove comunicazioni con i paesi vicini attuare il progetto del porto. Ora esistono tuttavia le condizioni per cambiare il volto di questa terra. Gi da due o tre anni il tenore di vita si elevato come dimostrato da tanti segni. Ma i segni pi soddisfacenti di questo rinnovamento sono la seriet e la capacit di cui danno prova i giovani di Maratea, che apprendono nella fabbrica il mestiere delloperaio.

I tecnici hanno per loro espressioni di affettuoso elogio. In questi giorni si dovr decidere il programma di valorizzazione della zona nellAmbito di un piano che riguarda il golfo di Policastro. La prima iniziativa sar la costruzione del porto di Maratea, di cui si parla fin dal 1700, un progetto che solo adesso diventer realt. I fatti dimostrano, quindi, che non si pu parlare di un specie di Inferiorit razziale della gente del Sud, come usavano certi sociologi positivisti, ai primi del 900, dal Niceforo, al Sergi, al Lombroso, Gaetano Salvemini, che fino allultimo ha predicato che i nordici debbono occuparsi non solo di s stessi, ma anche del meridionali se non vogliono trovarsi a mali passi ebbe facile gioco a confutare quella tesi insensata, Giustino Fortunato non si stancava mai di ammonire che nel Sud le bellezze del paesaggio nascondono lavarizia di un natura ostile. Ora cՏ lesempio di Maratea, che dimostra come i meridionali immessi in una moderna attivit produttiva possono diventare operai e tecnici non inferiori a quelli del Nord.


 


 

LALLERGIA ALLA VERIT

di Indro Montanelli – Corriere, 4/15 settembre 1957

Fra le tante domande dimpiego agli stabilimenti Rivetti, vidi quella di un giovanotto che si dichiarava – e lo comprovava allegando i relativi documenti – maestro alimentare. Costui, come tanti altri suoi colleghi, chiedeva di essere assunto in fabbrica perch ancora non aveva avuto una cattedra da cui alimentare altri ragazzi, che sarebbero cresciuti anchessi per fare i maestri e perpetuare cos, di generazione in generazione, lignoranza della lingua italiana. Ogni anno, nel periodo degli esami, si fa un gran discutere, da noi, sui metodi in uso nelle nostre scuole, alcuni lamentandone la mitezza, altri la severit. A voler raccogliere tutti gli articoli che sono stati scritti e si seguiva a scrivere in proposito, cՏ da trovarvi conforto per ogni tesi e ispirazione per ogni riforma. Ma nessuno ha ancora detto, o almeno a me non capitato di leggere, la cosa fondamentale: e cio che, dopo tante palingenesi da Gentile in gi, dopo tanti riordinamenti, dopo tante leggi, e dopo tante deroghe che le annullano (in via, sintende, assolutamente eccezionale), la scuola, in Italia, seguita a non esistere; vi esistono soltanto le scuole. TantՏ vero che i maestri a cui esse sono affidate sono elementari in qualche posto, ma alimentari in molti altri. Trattare questi e quelli con gli stessi stipendi equivale a fare dei primi delle vittime, e dei secondi dei ladri.

IL GROSSO OSTACOLO

Qualcuno dice che tutto il problema del Mezzogiorno, essendo condizionato da unopera di bonifica umana, dipende esclusivamente dalla scuola. Come figlio di professore, mi piacerebbe di crederlo; ma non ci riesco. Tuttavia, anche a non volersi impegnare su quell esclusivamente, mՏ bastato ficcare il naso in certi paesetti della Lucania e della Calabria per rendermi conto che questa mancanza, non di cultura, ma di educazione, il primo e il pi grosso ostacolo che si para di fronte a qualunque iniziativa di riscatto del Sud. Con esso deve vedersela non soltanto il capitalista settentrionale, che trovi il coraggio (ce ne vuole) dimpiantare quaggi unindustria; ma anche il povero giornalista che, con inopportuno zelo, cerchi dincoraggiarvelo e di spiegare ai lettori del Nord perch questa impresa sia cos necessaria e nello stesso tempo cos difficile. Naturalmente, per farlo, non cՏ che un mezzo: riferire con esattezza come stanno le cose, o almeno come sono apparse ai nostri occhi, in tutta la loro desolazione, in tutta la loro tragicit e in tutta la loro comicit. Ma qui appunto cominciano i guai. Queste terre del sole amano lombra. I portoni delle case ospitalmente si aprono al forestiero, ma i contatti con gli inquilini obbediscono a complicate liturgie che li rendono puramente formali ed escludono qualunque intimit e confidenza. Se si potesse industrializzare i segreti, lItalia del Sud sarebbe il pi ricco angolo dEuropa. Ma essi giacciono sepolti in case chiuse come fortezze, e qualcosa ne trapela solo nei confessionali e negli studi dei notai.

Per capire una briciola, da cui si possa ricostruire il costume di questa gente, bisogna affidarsi, pi che alle proprie capacit dindagine, allintuito. La povert viene nascosta per scrupolo di decoro; la ricchezza, per paura del fisco. Ma cosa non viene nascosto, nel Sud? Tutto: anche la bont. Un mio amico meridionale intelligente e spregiudicato (ce ne sono a bizzeffe) mi diceva che, per vivere in questi paesi e barcamenarvisi tra le beghe, le complicit e le clientele, ci vuole un cervello elettronico, capace di dosare al millimetro la parola, il gesto, lo sguardo. E questo tirocinio di sottilissima diplomazia quotidiana – con le autorit, con gli amici, coi nemici, e perfino con la moglie e coi figli – ci che fa del meridionale il meglio qualificato (). Da quale passato di malgoverno, da quanti secoli di arbitrii, di favoritismi e di soprusi, derivi tutto questo, facile capire, e nessuno pretende conteggiarlo nel passivo delle vittime. Ma il risultato quello che : una incapacit di fiducia e di solidariet, una mancanza di civismo, insomma una totale maleducazione collettiva. Uno dei primi frutti di questa maleducazione lallergia alla verit. Io non so se son cascato male nella scelta; ma il fatto si che in tutto quello che mi capitato di leggere sulla questione meridionale il mio naso ha avvertito un insopportabile fetore dipocrisia.

Solo Giustino Fortunato – appunto perch era un gran signore – ha parlato chiaro e ha denunziato con sincerit i difetti umani del Sud, di cui era figlio. A parte il suo, non cՏ stato finora nessun tentativo di dialogo fra questi due tronconi dello stesso Paese. I settentrionali, o tacciono con disprezzo considerando il Sud una irredimibile disgrazia da tollerare sforzandosi dignorarla, o ne discorrono con timorata reticenza. Quanto ai meridionali, essi si dibattono in questa eterna contraddizione: da una parte piangono miseria, dallaltra vedono un calunniatore in chiunque venga a constatarla e la denunzi. A scrivere che non pi ammissibile che nella maggior parte dei paesi di Calabria le donne debbano ancora attingere acqua alla fonte con lanfora  in testa, non ti ringraziano di aver auspicato lacquedotto, ma ti rinfacciano di aver dimenticato che in quelle anfore cՏ una civilt trimillenaria. Perch a complicar le cose cՏ anche questa retorica dei millenni cui pagar pedaggio ad ogni frase. Pronunciare un nome, equivale a farsi non uno, ma molti nemici: linteressato, il quale trover che non hai parlato di lui abbastanza bene, e tutti coloro che lo conoscono, i quali troveranno che non ne ha parlato abbastanza male. Tutti insieme, essi ti attribuiranno chiss che maliziose intenzioni e interessati calcoli. In ogni citazione, e in ogni abbozzo di diagnosi un attentato alla dignit. Tempo fa un settimanale romano indisse un referendum, invitando i lettori settentrionali a dire che cosa pensavano dei meridionali, e viceversa. Il direttore rimase sbigottito alla violenza delle risposte che giunsero da una parte e dallaltra. Ecco a che cosa ha approdato questa mancanza di franchezza, da ambedue le parti: a incancrenire la piaga, ad avvelenare i reciproci rancori e a fomentare i complessi. Quando un settentrionale parla in pubblico dei meridionali, ne loda lintelligenza, lo spirito, le canzoni e la filosofia. E quando un avvocato meridionale viene a difendere una causa a Milano, debutta immancabilmente con un tributo alla operosa e nobile citt che giustamente si fregia del titolo di capitale
morale. Ma sotto queste frasi convenzionali e balorde cՏ ben altro. CՏ la convinzione del Nord di essere impoverito dal Sud, e cՏ la convinzione del Sud di essere affamato dal Nord, dopo centanni di unit siamo ancora qui.

IMPRESA NECESSARIA

Anche di questo imbroglio, il malgoverno della scuola ha senza dubbio le responsabilit maggiori. E non soltanto perch i maestri alimentari difettano distruzione. La diffidenza, il sospetto, la segretezza, lambiguit sono, pi che giustificati, obbligatori, in un insegnante che deve anzitutto nascondere agli allievi lignoranza di ci che insegna. Sulla cattedra, egli costituisce agli occhi della scolaresca, la vivente riprova che la raccomandazione conta pi della grammatica, che lamicizia dellispettore pi importante dellalfabeto e che, zitti zitti, piano piano, un diploma di abilitazione si pu strappare anche in barba alla sintassi. La refrattariet alla schiettezza, il terrore della sincerit, trovano la loro incubatrice in queste aule scolastiche, dominate dalla volont di eludere i problemi, a cominciare da quelli della ortografia. La loro paura della verit che poi la paura della vita, documentata dalla loro ripugnanza alla natura. In questo paese del sole i caff sono pi affollati che in Finlandia, le spiagge deserte, i cani randagi, i boschi alla merc delle capre che non ne hanno nessuna.

Non dappertutto il contadino nellimpossibilit di vivere sul fondo perch vi mancano la strada e lacqua. Anche l dove queste condizioni esistono, egli si rifiuta di starsene isolato sulla terra, la cui verit lo spaventa. Laria aperta, gli alberi, gli animali non lo attirano. Preferisce lalveare del villaggio sovrappopolato perch vi si sente protetto da mille complicit. Invece che alliniziativa, si affida pi volentieri alla diplomazia, cio ancora una volta alle bugie. Dico tutto questo senza malanimo, arciconvinto come sono che il riscatto del Sud sia una impresa non solo necessaria, ma anche redditizia, purch sia avviata al di fuori delle solite menzogne convenzionali e delluggiosa retorica di cui son condite. Bene o male, il Nord che deve fornire i capitali e i tecnici per realizzarla, sia che lo faccia – come speriamo – attraverso la sua iniziativa privata, sia che lo faccia – come temiamo – attraverso lo Stato. Esso ha bene il diritto di sapere come stanno le cose, prima di affondarci le mani. E il Sud, se vuol curare i suoi malanni, non confonda il medico col denigratore e la diagnosi con la calunnia. Leducazione dei meridionali dovrebbe mirare solo a questo: ad affezionarli alla verit, a liberarli dalla paura. Ma, certo, finch sar lasciata in appalto ai maestri alimentari


 

POLICASTRO DOV?

di CAMILLA CEDERNA – Corriere dinformazione, 4-5 agosto 1956

Nel pollice dItalia. La breve costa della Basilicata e la lunga costa calabra con alberghi muniti di bagni e senza zanzare

E tu dove vai al mare?.

Nel golfo di Policastro, rispondevo alla fine di giugno a chi sinformava delle mie vacanze, e mi piaceva guardare in faccia i miei interlocutori, meravigliati, disorientati, spesso anche soltanto divertiti.

Policastro? chiedevano, dando subito a questa parola unintonazione ironica. E dovՏ?. Alcuni per, dopo il primo momento di meraviglia, si riprendevano. Questo nome lavevano sentito dire al tempo delle elementari, quando studiavano geografia: insieme alle Alpi Cozie, Graie, Pennine, e al colle di Tenda e di Cadibona. Il nome del golfo di Policastro era rimasto loro in mente, vagamente collegato agli alberi delle carrube. Ma niente di pi. La sera prima che io partissi, in un caff di piazza della Scala, andava ripetendosi la stessa scena. Policastro? mi chiedevano alcuni conoscenti. Ma dove ti vai a cacciare?, ed ecco che da una sedia l accanto si alz un uomo dallaspetto fragile e dal profilo garbato che, fino a quel momento aveva sorbito un gelato bianco e rosa insieme alla sua giovane moglie. Dopo avermi detto: Scusi, signora si permise di domandarmi, chinando il capo da una parte: Policastro? e sillab lentamente la parola, pronunciandone lunica a larga ed aperta come fosse una e. era un avvocato di Londra che lindomani partiva in automobile per questo golfo. Come me, si sarebbe fermato a Maratea, in the big toe of Italy, aggiunse con un sorriso nel pollice del piede dellItalia.

Ci dicemmo arrivederci, fra la meraviglia dei milanesi, alcuni dei quali insinuarono che io avessi combinato questa scena. Giunsi a Sapri che era notte, di l raggiunsi Maratea in venti minuti di automobile, e quando il viaggio fu finalmente concluso, non vidi altro che grandi piante di limoni su un verdissimo prato sotto le stelle. Entrando nellalbergo che questo prato annunciava come un gran tappeto di lusso, mi parve di metter piede in una conchiglia. Le piastrelle del pavimento erano di diversi toni di rosa accostati, dalle enormi porte-finestre spalancate sulla notte entrava lievissimo il respiro del mare insieme ai cento aromi della macchia mediterranea, di miele, di pepe, di menta. La mattina dopo, prima di aprire le imposte, esitai un attimo: mi aspettavo molto, e nello stesso tempo, come spesso accade, temevo di rimanere delusa.

MARATEA

Ma non fui delusa: oltre il balcone fiorito, abbracciato irregolarmente da scogli neri, da penisolette verdi, da ciuffi di pini frondosi, da dossi nudi sui quali, in mezzo alle ginestre, si ergevano, severe torri saracene, luccicava un mare teso e deserto, color turchese vicino alle coste, verde di smalto intorno alle isolette, color indaco nella sua sconfinata libert. Non una barca sullacqua, non una persona in vista, ma un silenzio fondo, una calma solenne ed antica, una bellezza cos ferma e patetica che prendeva quasi alla gola. Sul suo balcone, allombra di una pianta di rose, la giovane coppia inglese guardava il mare. Lavvocato volle sapere da me come mai ero arrivata fin l. A met giugno lui aveva letto sul Daily Telegraph un articolo dal titolo: Andiamo in un posto diverso dai soliti, che parlava appunto di quello che secondo lautore era il pollice del piede dItalia, la Calabria cio, e, al suo limitare, la Basilicata con quei pochi chilometri di sbocco sul Tirreno, e al centro, Maratea.

Da quel giorno non pensai pi a quellespressione tanto meravigliata che avevano avuto i miei amici udendo dove andavo a far vacanza. Mi contentai invece di guardare la faccia di chi, per un guasto alla macchina, per una stanchezza improvvisa, per una combinazione qualsiasi, si fermava almeno per mezza giornata nellinsenatura stupenda chio avevi scelto da lontano. Parlo di Maratea e del litorale che la precede e la continua a tutti quelli che da anni si lamentano delle loro vacanze che non sono pi vacanze, dei rumori, della folla, della super costruzione, ma da anni continuano per pigrizia ad andar negli stessi posti, e, naturalmente, a lamentarsi. La breve costa della Basilicata e la lunga costa calabra, come scrive in stile ammirato ed estremamente informativo il Daily Telegraph, non pi inospitale e deserta come una volta. una costa stupenda in cui per merito di industriali del nord, veneti o piemontesi, sono sorti comodi alberghi muniti di bagni e sprovvisti di zanzare. E giusto che ci vadano gli inglesi, ma altrettanto giusto che comincino ad andarvi anche gli italianai, e prima di tutti quanti amano il gran mare libero e selvaggio, che anche ai meno freschi di studi, fa venire in mente lincontro profumato dalga e di sale, fra Ulisse e Nausicaa.

Mancano i dancings, i night-clubs, I gran caff sulla piazza, ma in compenso, in mezzora di automobile, su splendide strade orlate per chilometri e chilometri dai cespugli di rosmarino, si pu cambiare completamente di ambiente e di villeggiatura, lasciandosi alle spalle la vegetazione subtropicale (carrubi, vigneti, olive, fichi ed agavi), per avanzare tra la flora alpestre (carpini, frassini e querce, a boschi interi).

LE RAGAZZE

Ed ora qualche notizia complementare utile ai turisti. Nella macchia di Maratea (deliziosi sentieri tagliati fra la mortella profumata, la menta, il caprifoglio, i cespugli di cappero e lentisco, conducono dallalbergo al mare), sincontrano le lucertole pi grosse e pi lunghe della zona, tanto azzurre da parere di smalto. In molte sere estive le sponde del mare luccicano per il plancton fosforescente che vi galleggia. In marzo il mare brulica di folaghe, anatre e gru che, provenienti dallAlgeria si riposano sullacqua tutto il giorno, prima di partire in volo per lUngheria, verso sera: la stagione delle cacce. La gente del posto civile e discreta. Quelli che si incontrano per la campagna formano gruppi da presepio di scuola napoletana: donne brune vestite di viola e di rosa acceso con un orcio in testa spingono un asinello nero, bambini con un cesto in braccio, si tiran dietro una pecorina sporchissima. Le ragazze pi belle stanno a Castelluccio, nella valle subito dietro Maratea.

Quanto al santo protettore di Maratea, si tratta di San Biagio, che si pu ammirare ritratto in un gran busto a sbalzo e a cesello di oro e dargento. un santo che protegge la gola, e quasi tutte le seconde domeniche di maggio, fa il miracolo della manna. Cio, fra lentusiasmo e le preghiere dei marateesi, trasuda dal viso severo, dalla ben regolata barba, e tuttintorno sui marmi della cappella, un liquido giallo, inodoro, insaporo, ma benefico contro ogni malattia, che il parroco distribuisce in boccette a chi va a trovarlo fin lass. Lass, su una gran balza fiorita dangeliche e di gigli semplici e gialli, fra le rovine di quella che era una volta Maratea Superiore, sta la basilica del Santo. Dal belvedere della basilica, lo sguardo spazia su tutto il golfo di Policastro, tutto a felici sporgenze e rientranze, nere di scogli, bianche di spiagge oltre la bella isola di Dino, oltre le punte calabre di Scalea e Diamante da un lato e dallaltro oltre il nero e solenne capo Palinuro. Mentre lontanissima, oscillante in una legger nebbia di sole si vede e non si vede, unisola sfumata, opalina, dai contorni irregolari, che Stromboli.


 

A MARATEA UN PORTO PER IL PANFILO DEL DUCA DI WINDSOR

di GIUSEPPE BERTO – Il Giornale dItalia, 18 luglio 1956

La nostra ignoranza del Meridione culmina nella Lucania, o Basilicata che dir si voglia, ed un fatto perlomeno strano poich, grazie ai libri di Carlo Levi e di Rocco Scotellaro, alla demagogia imperante e ai film come La lupa, inesplicabilmente ambientato tra i sassi di Matera, la Lucania una delle regioni di cui si pi parlato e scritto negli ultimi anni. Ma tantՏ: le nostre idee intorno ad essa continuano ad essere confuse. Prima di partire per questo viaggio nellestremo Sud, ero andato a cercare informazioni a Roma, presso un importante Ente turistico. L, la signorina addetta alle relazioni col pubblico aveva una ben radicata convinzione che la Lucania non avesse sbocco sul mare Jonio. Era cos serenamente ferma in questo suo preconcetto, che non osai contraddirla, bench dal fondo della mia memoria riaffiorassero alcune vaghe nozioni circa le rovine di Metaponto e la costa bassa, maledetta, devastata dalla malaria. Per lei era sicura e io no, perci la lasciai parlare, pur restando nel dubbio. Se invece avesse sostenuto che la Lucania non aveva sbocco sul Tirreno, sarei stato senzaltro daccordo. Ma lei era del parere che col mar Tirreno la Lucania confinasse e, questa volta, era nel giusto: nonostante lopinione contraria della maggioranza degli italiani, la Lucania arriva al Tirreno e ci arriva con trentadue chilometri di costa meravigliosa, disposti in fondo al Golfo di Policastro.

DIVENTERA FAMOSA

Quando si parla di coste belle, obbligatorio il paragone con i luoghi pi celebri della terra: la Costa Azzurra, la Riviera di Levante, la Penisola Sorrentina. Ebbene, non passeranno molti anni e e la costa di Maratea, cio del Comune Lucano che si affaccia sul Tirreno, diventer famosa. facile crederlo, poich quei trentadue chilometri danno immediatamente il senso panico, inebriante, che ci prende davanti ai miracoli della natura. Son tutto un susseguirsi di insenature ora ripide, ora dolci con la spiaggia in fondo, separate da promontori rocciosi, che portano in cima i ruderi delle torri saracene. Lacqua limpida, subito profonda, di un azzurro cupo. La terra a tratti vi incombe con monti altissimi e a tratti si apre in valli straordinariamente verdi per gli ulivi, i carrubi, le querce che crescono fino in riva al mare. una costa fantastica, di lusso. Chi vi passa col treno non se ne rende conto, perch non fa che entrare e uscire dalle gallerie e gli improvvisi squarci di mare e di scogli gli tolgono il fiato, finiscono per stordirlo. Bisogna andarci in automobile, ma sono pochissimi a farlo. LItalia a sud di Paestum rimane ancora tagliata fuori dalle grandi correnti turistiche. Molto spesso chi va in Sicilia preferisce imbarcare lautomobile a Napoli e sbarcarla a Palermo, piuttosto che avventurarsi in un lungo viaggio che immagina, oltre che difficile, scomodo e noioso.

E anche chi si azzarda a fare il viaggio in automobile, di solito segue la strada interna che, seguendo il tracciato dellantica Via Popilia, attraversa regioni interessanti s, ma non cos pittoresche come quelle costiere, e che arriva al mare soltanto al Golfo di SantEufemia. Molti non sanno neppure che da Policastro a Reggio Calabria si snoda per centinaia di chilometri la pi lunga e bella strada panoramica che ci sia al mondo, non pi in disordine delle altre strade italiane della costiera amalfitana. Su quella strada si viaggia in solitudine. I rari turisti sono in maggioranza stranieri. Se sincontra una macchina con la targa a nord di Napoli, si pu esser certi che, otto volte su dieci, la macchina dun commesso viaggiatore. un peccato, perch i commessi viaggiatori non hanno n tempo n voglia di ammirare paesaggi e quella strada tutta curve, che non fa che salire sui promontori e scendere nelle insenature scoprendo continuamente panorami uno pi bello dellaltro, devessere per loro una sorta di maledizione.

Il paese di Maratea non sta sul mare, ma un po allinterno sulle pendici duna montagna, a trecento metri. Molti paesi del sud hanno una posizione simile, determinatasi quando vivere in basso era malsano, oltre che pericoloso per le scorrerie dei saraceni. Ora da tempo corsari non ce ne sono pì, e anche la malaria dovunque sparita, ma gli abitanti continuano a costruire le loro case in alto, intorno ai caselli e alle numerose chiese. La gente del Meridione si evolve con estrema lentezza, a causa non tanto della indolenza, quanto della tendenza alla speculazione, intesa nel senso vecchio di indagine razionale e non nel senso moderno di ricerca di guadagno. Gli abitanti di Maratea guardano dallalto la loro costa, ne comprendono la bellezza e ne sono innamorati, ma, francamente, ancora non hanno idee chiare sul suo valore commerciale. Eppure, oggi, sulla scogliera di Maratea sta accadendo qualcosa di nuovo e di concreto.

La cosa cominciata, suppongo, per caso. Un grosso industriale del Nord, nel piano di aiuti della Cassa per il Mezzogiorno, aveva stabilito di piantare un lanificio a Maratea, in un posto presso il mare, evidentemente scelto perch vicino alla strada e alla stazione ferroviaria. Il lanificio sorto, funzionale, modernissimo, tuttaltro che brutto nel suo genere, ma pur sempre uno stabilimento tessile. Soltanto dopo averlo costruito lindustriale si devessere guardato intorno e accorto di aver messo quella bella roba in un luogo meraviglioso, dove laffare grosso non era la lana, bens̀ il turismo. Percì a ridosso dellopificio, appena altre le case per i tecnici, ha costruito un bellissimo albergo, lunico albergo veramente turistico che ci sia nellItalia continentale a sud di Amalfi, perch uno ci arriva e non se ne andrebbe pì, tanto comodo, signorile, ridente, pieno di pace, con le grandi finestre, che si aprono sul mare e sui giardini tirati su con cura e fatica. Purtroppo, anche caro. Per cos devessere: per me, ma per qualcuno che ha molti pì quattrini da spendere. Sognano che diventer̀ una specie di Eden Roc del Sud, un rifugio per il bel mondo che, seccato dalle folle dopolavoristiche di Capri, finir̀ per spostarsi pì lontano, in cerca di un posto esclusivo. Hanno calcolato che, da Capri a Maratea, i grossi motoscafi daltomare impiegano soltanto quattro ore.

ERRORI INIZIALI

Ma ci vuole un porto. Non tanto grande, tuttavia capace di accogliere almeno i panfili dei pì illustri naviganti del Mediterraneo: Onassis, il principe Ranieri con la bella moglie, il duca di Windsor. Basterebbe che arrivasse il duca di Windsor, e la fortuna del luogo sarebbe fatta. Percì ci vuole il porto. Se avessi abbastanza pratica di queste faccende, mi metterei a fare lalbergatore, invece del faticoso e scarsamente redditizio mestiere che faccio. Quindi non voglio far previsioni, che sarebbero di sicuro sbagliate. Per una mia ferma convinzione che lalbergo lussuoso mal si combini col lanificio, con le case dei ferrovieri e soprattutto con uno scatolone giallo, che dicono destinato a sanatorio per bambini tubercolotici, sorto nelle immediate vicinanze.

Non vorrei essere frainteso: anche per me sanare i bambini tubercolotici molto pì importante che non dare degna ospitalit̀ ai signori della terra, ma a Maratea cՏ tanta abbondanza di luoghi bellissimi, che si poteva ben costruire altrove lalbergo, o altrove il sanatorio. Infine, bisogna anche considerare che se a Maratea prendesse davvero piede il turismo ricco che le si addice, probabilmente diminuirebbe il numero dei bambini bisognosi di quelle cure. Comunque, nonostante questi che per me sono errori iniziali, limpresa per lo sfruttamento turistico della zona ormai avviata con seriet̀ dintenti e larghezza di mezzi. Bench́ lalbergo sia la unica cosa finora costruita, non si tratta solo dellalbergo. Se uno, attratto dalla particolare bellezza duna punta o duna rada, chiede di acquistarne un pezzettino, si sente invariabilmente rispondere: Quella terra lha gì comprata la Societ̀. Oppure: Non la vendo: anche la Societ̀ voleva comprarla, ma io non la vendo.

Qualcosa di grosso, dunque, accade sulla costa di Maratea. I paesani, dallalto, stanno a guardare stupiti, contenti o dubbiosi. Anchessi hanno capito che l laffare vero il turismo. Oggi, con tutte le macchine che ci sono, uno stabilimento tessile va avanti quasi da solo, ciò con una dozzina di tecnici importati dal Nord e con poco pì di una dozzina di ragazzetti del paese, assunti come apprendisti. Non sar̀ certo questo ad allontanare la miseria dalla zona. Ma il turismo, parola favolosa e sfuggente, potrebbe presentare la salvezza, il benessere per tutti. Soltanto una cosa lenta, e gli abitanti di Maratea, dopo aver atteso per secoli, sono ora impazienti di veder affluire gente e denaro. Gli sembra impossibile che cì non accada con la desiderata sollecitudine. Sapete, dicono, gì allalbergo sՏ fermata la contessa Ciano, la figlia di Mussolini. Ha detto che torner̀ presto, con molti amici.

Ora sono ansiosi che ritorni, e intanto vorrebbero anchessi far subito qualcosa per lo sviluppo della loro terra, e non sanno che fare, ho cercato di spiegar loro che la fortuna di Capri e degli altri luoghi celebri del Napoletano non era derivata dai ricchi, ma da uomini stravaganti, poeti pittori musicisti, pieni di fantasia e spesso poveri di quattrini, sicura avanguardia della gente ricca. Dovreste attirarli qui, dicevo. Provate a regalar loro un pezzo di terra, a patto che vi costruiscano una casa che non si possa n vendere n affittare. Chiss̀ che non li abbia convinti. Se poeti pittori musicisti vedranno affaire in dono, dal Comune di Maratea un pezzetto di terra per costruirsi una casa, sappiano che, in fondo, sono stato io. Naturalmente, non chiedo nulla in cambio. Per, se un giorno vorranno invitarmi a passare una settimana nella loro casa in riva al mare, ci andr̀ volentieri, contento di tornare in luoghi che ho conosciuto meravigliosi e che ormai mi difficile escludere dal desiderio.

 

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