LĠavventurosa
vita di Giuseppe DĠAlitti, il parroco giacobino
Luca Luongo |
LĠarticolo di oggi racconta la vita di Giuseppe DĠAlitti, parroco di Santa Maria Maggiore. Uomo di cultura e fervente giacobino, visse una vita avventurosa battendosi per i principi repubblicani nel 1799. Per i suoi valori rischi la vita e dovette rinunciare a quella che senza dubbio sarebbe stata una carriera ecclesiastica ricca di soddisfazioni.
La famiglia DĠAlitti/o.
La storiografia di Maratea carente di biografie. Pochissime
sono le autobiografie o altre pubblicazioni memorialistiche dalle quali
possibile ricavare notizie su singole persone, anche quando hanno avuto un
ruolo importante nella vita della comunit. Ci rappresenta un handicap non
secondario per lo storico che vuole ricostruire gli aspetti pi prettamente
sociali della nostra storia.
Abbiamo qualche notizia genealogica sulle famiglie nobili di
Maratea dallĠopera di Carmine Iannini (1774-1835). Da lui sappiamo che i DĠAlitti o DĠAlitto giunsero a
Maratea da Papasidero, di cui erano baroni. A stabilirsi a Maratea furono Paolo
e Giovanni DĠAlitti negli anni Ô70 del XVII secolo.
Giovanni Cesare DĠAlitti spos Dalmazia Sifanni e dalla loro unione nacquero tre figli: Paolo,
Nicola e Macario. Il primo fu dottore e uomo di lettere: fu il Paolo DĠAlitti (1676-1728) che scrisse il primo libro noto sulla
storia di Maratea.
Nicola fu sacerdote. La famiglia prosegu con Macario, che ebbe, tra i suoi figli, un altro Paolo, che a sua volta gener tre figli: Macario, Biagio e il nostro Giuseppe.
Sacerdote, laureato... e testa calda.
Nacque il 18 novembre 1766 e fu battezzato con i nomi
Giuseppe Nicola Biagio. Sua madre si chiamava Francesca Santoro. Dopo essere
stato ordinato allĠordinazione da sacerdote studi a Napoli e si laure in
diritto nel 1793. LĠanno successivo torn a Maratea e fu nominato parroco di
Santa Maria Maggiore.
Stupisce che Giuseppe consegu la laurea a 27
anni. AllĠepoca ci si iscriveva allĠuniversit intorno ai 17 anni. é possibile
che la vocazione agli studi fosse sopraggiunta piuttosto tardi e forse per
necessit.
Il nostro Giuseppe, infatti, doveva essere piuttosto noto in
paese per il suo carattere... esuberante. Come tutti i paesi del Regno di
Napoli, allĠepoca Maratea viveva un fermento politico. Le idee illuministe si
erano diffuse e tradotte in una domanda di politiche pi liberali e
democratiche. Queste andavano a cozzare con lĠindirizzo del governo borbonico,
in particolare dopo il 1789 e lĠesecuzione di Maria Antonietta, sorella della
regina napoletana. I sovrani esercitavano la propria ingerenza nei singoli
paesi demaniali (cio non dati in feudo) attraverso i governatori, una figura
scelta tra i nobili napoletani che amministrava la giustizia nelle citt.
Inevitabilmente, il governatore di Maratea finiva per essere
"il nemico" contro cui i liberali del paese scatenavano le loro ire.
Nel 1790 il 24enne Giuseppe si becc una denuncia alla Regia Udienza di
Basilicata. LĠaccusa era aver proferito Çparole ingiuriose, e calunniose, in
pubblica piazza, audacemente; e con gran scandalo contra la persona, e onore
del Sig. D. Emanuele Sanerscati, del mastro di quella
Corte, nonch della moglie di esso Governatore, eccitando il Popolo a
commettere eccessiÈ. (La politica ha sempre tirato fuori il meglio e il
peggio degli uomini: doveva per esser notevole lĠepoca in cui si poteva
sentire un sacerdote inveire contro la moglie di qualcuno in pubblica
piazza...!)
Chiss allora che non sia un caso che di l a poco il nostro Giuseppe venisse spedito a studiare a Napoli...
Il parroco giacobino.
ComĠ noto, nel 1799 si consum la parabola della Repubblica
Partenopea, in cui i giacobini napoletani tentarono di scacciare il re
Ferdinando IV di Borbone dal trono. N dovettero faticare, in realt, poich il
re scapp in Sicilia poco dopo lĠinizio della rivoluzione.
A Maratea la municipalit repubblicana sostitu lĠamministrazione
regia in maniera molto pacifica. Se si esclude un tentativo
controrivoluzionario mosso da alcuni borbonici forestieri (alcuni calabresi
stabiliti da anni a Maratea), da ci che sappiamo pare che i giacobini
marateoti ebbero facilmente la meglio sul partito borbonico. Ma la Repubblica
ebbe vita breve. Il 3 marzo 1799 un reparto sanfedista al comando di Oronzo Mariociello occup il paese e ristabil lĠautorit regia.
I giacobini di Maratea furono processati, molti arrestati. Tra questi ci fu il parroco, come ricordato in una memoria degli inquirenti: ÇD. Giuseppe Alitti, Arciprete di Maratea predic in Chiesa e in Pubblica Piazza a favore deĠ Francesi con parole ignominiose contro la Sovranit seducendo il Popolo ad accettare il nuovo Governo democratico. Fu carcerato in Napoli [e] indi liberato con lĠindulto.È
Il ritorno a Maratea.
Ma il periodo in carcere non aveva placato i sentimenti liberali
e democratici di Giuseppe. Il parroco non smise di difendere i suoi
concittadini dalle angherie del potere borbonico, che dopo il 1799 appoggiava
apertamente le vendette private contro le famiglie giacobine. Nel 1803 il
parroco non esit a dare in pegno una Croce in argento, di propriet della
parrocchia, per pagare la cauzione del procuratore del clero De Sanctis,
arrestato per beghe politiche da un commissario della Regia Udienza.
Parallelamente, DĠAlitti fu sempre molto ligio ai doveri del sacerdozio e del suo ruolo di parroco, anche quando ci arriv a quasi a costargli la vita.
Il tentato omicidio.
AllĠepoca a Maratea cĠera un diacono di nome Francesco
Antonio Mordente (1784-1828). Nonostante fosse avviato alla carriera
ecclesiastica, costui faceva notoria vita dissoluta. DĠAlitti
lo redargu pubblicamente, minacciandolo di non farlo ascendere mai al rango
sacerdotale se non avesse cambiato abitudini. Mordente reag nel peggiore dei
modi.
Nel 1806 lĠesercito napoleonico
invase e conquist il Regno di Napoli. Apparentemente i giacobini ebbero la
loro vittoria storica sui borbonici. Ma questi, finanziati da Ferdinando IV
esule in Sicilia e dagli inglesi, si lanciavano in atti
di pirateria e di "brigantaggio" per nuocere ai conquistatori
e a coloro che ne avevano favorito la vittoria.
Il Mordente, approfittando di questa situazione politica,
ricord ai borbonici del paese il giacobinismo del parroco. DĠAlitti riusc a scappare alle rappresaglie nascondendosi.
Allora, Çsi rivolse il Mordente [...] al suo paesano Francesco Faraco, che per vie diverse stimol, e sedusse ad andare ad
arrestare lĠArciprete nella masseria di D. Giacomo Santoro, ovĠegli
credendolo nascosto lo diresse [...] Part il Faraco
[...] insieme con i fratelli Gaetano e Gio:
Cesarino, e Vincenzo e Giuseppe Tarantino, che tir a suo partito tutti armati
di fucili per lĠindicato luoco distante dallĠabitato
cinque miglia. Cammin facendo chiam Gio: Dammiano, che cos pure si
arm, e Pascale Cernicchiaro insieme.
[...] Nel limitrofo territorio di Tortora pascolavano
Biase Caselle, Lorenzo Forestiero ed Angiolo Carlucci di col. Ebbero voglia
gli individui di Tortora di mangiarsi in quella sera appunto [...] una
minestra cogli suddetti Cernicchiaro nella di costoro aja.
[...] Arriv col pane lĠuomo di Tortora a mezzora di notte circa, e mentre lĠaria
era oscura. Furono sparati due colpi di fucileÈ.
Non ben chiaro cosa accadde. Caselle fu trovato morto la mattina seguente, forse scambiato accidentalmente per il parroco che si credeva nascosto nelle vicinanze. La Gran Corte Criminale di Potenza process tutti. Gaetano Cesarino e Cernicchiaro morirono nel carcere di Maratea, Giuseppe Tarantino fu condannato, Vincenzo Tarantini scapp in Sicilia, Giovanni Cesarino e Faraco furono successivamente amnistiati.
Gli ultimi anni.
Abbiamo pochissime notizie sulla vita di Giuseppe dopo la
Restaurazione. Pare per che rimase pressoch estraneo ai moti del 1820 e 1828.
LĠet avanzata forse lo port a
concentrarsi pi sui suoi compiti religiosi. Nel 1819 sigl con il parroco di
San Biagio Iannini lĠaccordo sui confini delle due parrocchie, ponendo fine a
secolari controversie. Negli ultimi anni del suo lungo parrocato
si occup del restauro della chiesa dellĠAnnunziata e della Chiesa Madre, in
particolare dopo il terremoto del 1831.
Giuseppe DĠAlitti mor il 26
ottobre 1832. Iannini, che gli sopravvisse per tre anni, scrisse: Çfu uomo
di grandi cognizioni [...] non fu vescovo, per le diverse
vicende insorte nel Regno [...] colla sua morte si conobbe la
perdita che fece MarateaÈ.