E' vero che ci fu un genocidio al Sud dopo lĠUnit
dĠItalia?
Luca Luongo |
Da
molti anni, un filone revisionista storico sullĠepoca dellĠUnit Nazionale ha
preso vigore e forza anche tra i non appassionati di Storia.
Incoraggiato da associazioni come il Movimento Neoborbonico, fondato a
Napoli nel 1993, questa reinterpretazione della Storia, priva di fonti
attendibili e perci stigmatizzata dagli storici, pu riassumersi in due punti.
Nel primo, il Regno delle Due Sicilie sarebbe stata
una realt allĠavanguardia del suo tempo in ambito economico, sociale e
tecnologico. Nel secondo, dopo lĠUnit il Mezzogiorno
sarebbe stato depauperato delle sue risorse e ridotto coscientemente in stato
di inferiorit rispetto al Settentrione.
Oggi,
nel 162esimo anniversario dellĠUnit, ne affrontiamo un particolare e delicato
tema.
In
questa ottica, il fenomeno del brigantaggio
post-unitario andrebbe letto come lĠespressione di fedelt della popolazione
meridionale agli spodestati Borbone. E non solo. La sua repressione sarebbe
addirittura costata un milione di morti tra il 1860 e il 1870. Una cifra veramente spaventosa, tanto da far pensare a un vero e
proprio genocidio.
ÇIo non sapevo che i piemontesi fecero al Sud
quello che i nazisti fecero a Marzabotto -scrisse nel 2011 Pino Aprile nellĠincipit del suo celebre libro Terroni -. Ma tante volte, per anni. E cancellarono per
sempre molti paesi, in operazioni Òanti-terrorismoÓ, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle
rappresaglie, si concessero libert di stupro sulle
donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i
marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nellĠinvasione, da Sud, per
redimere lĠItalia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno
ci rimette qualcosa).
Ignoravo che, in nome
dellĠUnit nazionale, i fratelli dĠItalia ebbero pure diritto di saccheggio
delle citt meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura,
come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria,
Pinochet in Cile.
Non sapevo che in Parlamento, a
Torino, un deputato ex garibaldino paragon la ferocia e le stragi piemontesi
al Sud a quelle di ÇTamerlano,
Gengis Khan e AttilaÈ. Un altro prefer tacere Çrivelazioni
di cui lĠEuropa potrebbe inorridireÈ. E Garibaldi parl di Çcose
da cloacaÈ.È
Nel
2016, nel suo nuovo libro Carnefici,
Aprile alz il tiro parlando espressamente di genocidio:
ÇNe mancano – di meridionali, scrive Aprile
– centinaia di migliaia, da centoventimila in su: in quelle Òtrib perduteÓ, cĠ lĠordine di grandezza
della strage di italiani del Sud compiuta per unificare lĠItalia. é la
dimensione di un genocidio.È
Come
si pu immaginare, questa, oltre che la pi complessa,
anche la pi crudele falsit del revisionismo neoborbonico. Ci perch si
rif anche un immaginario basato su un fatto storico relativamente recente, la Shoah,
che andrebbe rispettato piuttosto che sbertucciato.
Il
brigantaggio, comĠ ampiamente noto agli storici, fu un fenomeno molto
complicato e molto pi legato a questioni sociali ed economiche che a vere e
proprie prese di posizione politiche. Il fenomeno sempre
esistito nel Mezzogiorno: tra il 1683 e il 1687 il vicer spagnolo di Napoli,
marchese di El Carpio, dovette ingaggiare una vera e
propria guerra contro i briganti che infestavano le province; nel XVIII
secolo il pi celebre brigante del regno fu Angelo Duca detto Angiolillo
(1734-1784), le cui gesta tra Cilento e Basilicata sono tuttora leggendarie;
nel secolo successivo gli stessi Borbone di Napoli dovettero affrontare le
bande dei Vardarelli in Capitanata, dei Capezzoli in
Cilento e di Giosafatte Talarico in Calabria.
Seppure
immediatamente dopo lĠUnit i fedeli borbonici si
illusero di poter utilizzare le bande brigantesche per una controrivoluzione,
anche al pi ingenuo appassionato di Storia lĠinconsistenza politica dei
briganti appare chiara considerando il fallimento della spedizione Borjes: quando, negli ultimi mesi del 1861, Francesco II
delle Due Sicilie lanci il condottiero Jos Borjes
(1813-1861) alla riconquista del regno avito, questi non solo trov pochissimi
a seguirlo.
Infine
abbandonato dal vero capo brigante, il lucano Carmine Crocco (1830-1905), la
cui attivit si riduceva a rappresaglie contro i liberali dei paesi lucani,
oltre le varie rapine e sequestri, incarnando la lotta brigantesca come quella
guerra del povero contro il ricco di cui si sono scritti ampi volumi.
In
pi, un malinteso molto diffuso dal revisionismo di questo stampo quello
concernente come combattessero i briganti e contro chi.
La
principale attivit dei briganti post-unitari non era una romantica lotta in
difesa del Trono e dellĠAltare contro un invasore esercito piemontese, fosse
non altro perch il primo corpo mandato a contrastare le bande furono le varie
Guardie Nazionali dei paesi lucani, campani, pugliesi ecc.
I
loro crimini pi comuni avvenivano, come ovvio, prima di tutto contro la
popolazione meridionale, e consistevano per lo pi in sequestri di figli e
parenti di persone ricche per chiedere il riscatto.
Diverso
il discorso per quanto riguarda il numero dei morti.
LĠastronomica
cifra del milione di morti pare trarre origine da un articolo di una rivista
dellĠepoca, La civilt cattolica, la quale
sosteneva, provocatoriamente, che il governo unitario aveva
fatto pi morti nel Mezzogiorno di quanti fossero stati i voti a suo favore nel
Plebiscito.
In
realt, difficile dare una cifra precisa dei morti
dellĠepoca del brigantaggio perch difficile legare indubbiamente ogni
morte al fenomeno: un conto sono le condanne a morte e i caduti degli scontri,
un conto sono i danni collaterali del fenomeno stesso. Ciononostante, nel
decennio 1861-1870 gli storici parlano di 5.000 o 6.000 morti.
Nel
1993, poi, il forte di Fenestrelle (TO) e i campi militari di Alessandria,
Milano e San Maurizio Canavese (TO) furono per la prima volta additati come
campi di concentramento per meridionali in un articolo della rivista LĠAlfiere a firma di Francesco M. Di Giovine. Al grande pubblico, poi, lĠimmagine arriv
attraverso il libro, del 1998, Maledetti Savoia! di Lorenzo Del Boca, che rende chiaro al di sopra di ogni dubbio lĠequiparazione con la Shoah
scrivendo: Çle SS dellĠOttocento
indossavano la divisa dellĠesercito del PiemonteÈ.
Nonostante
il cattivo gusto, il paragone col genocidio ebraico del secolo scorso ha riscosso un grande successo su vari siti internet, tanto che
– incredibile ma vero – i neoborbonici riuscirono ad affiggere una
targa a Fenestrelle in ricordo di 22.000 vittime meridionali l internate (non
mi riuscito di capire da dove provenga la cifra).
Ora
la targa non esiste pi, e per evitare il proliferare della bufala, lo storico
Alessandro Barbero, noto al grande pubblico per le sue partecipazioni
televisive, ha dedicato uno studio sullĠargomento, pubblicato nel 2012, I
prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle,
in cui ha dimostrato non solo lĠinfondatezza dello sterminio di meridionali
paventato dai revisionisti, ma ha avuto anche il pregio di chiarire, attraverso
ricerche dĠarchivio, i dati quantitativi circa lĠarruolamento degli ex-soldati
borbonici nel neonato esercito italiano.
Ciononostante,
sui social continuano a proliferare aneddoti raccapriccianti circa la conquista
del Sud, come lĠeccidio di Bronte (CT) – che in realt fu la fucilazione
di presunti rei di una bega contro i locali notabili -, il massacro di Pontelandolfo
(BN) – su cui mi piacerebbe presto dedicare un articolo a parte – o
la morte di una certa Angelina Romano, bimba di 9 anni di Castellammare del
Golfo (PA), una cui foto circola tuttora sul web, nonostante molti, tra cui io
con un precedente articolo, dimostrammo essere una bufala.
Ciononostante
quella, come molte altre notizie inattendibile su questo periodo, continua a
circolare anche grazie attraverso il web. La verit sembra avere una strada
difficile davanti a s, anche davanti alla puntuale smentita dei dati. La
ragione sembra essere la scomparsa del Sud nellĠagenda politica e culturale del
nostro Paese, motivo per cui molto pi facile, per
bufale come questa, affermarsi in un vuoto pneumatico, come unico appiglio
possibile per dare un senso a s stessi e al proprio quotidiano sulla scena
storica (e non solo) nazionale.